Le vie per la salvezza dell’Europa

E’ illusorio e disonesto pretendere di costruire la pace attraverso la forza. La pace non ha bisogno di forza, né di forzature della realtà, né di garanzie di sicurezza armate.  La pace si costruisce avendo come obiettivo la pace, cioè il superamento dell’ostilità in una riconquistata dimensione di fraternità fra i popoli.

Negoziato è la parola magica che si staglia sullo sfondo della guerra Russo-ucraina. Negoziato è la parola proibita, ripudiata, nascosta. Negoziato è la parola respinta orgogliosamente dalla NATO – come ci ha rivelato Stoltenberg il 7 settembre 2023 – per evitare di fermare il corso degli eventi che ha portato allo scoppio della guerra il 24 febbraio 2022. Negoziato è la parola che è stata rigorosamente bandita da tutti i documenti della NATO e dell’UE intervenuti dall’inizio della guerra ad oggi. Il negoziato è stato anche formalmente vietato con un decreto di Zelensky del 4 ottobre 2022. Al suo posto è stata costruita la mitologia necrofila della “vittoria”. Un mito che è stato alimentato ed è cresciuto su una montagna di cadaveri, per nulla turbato dalla cruda realtà delle vittime e delle distruzioni belliche, tanto che il 29 febbraio 2024, dopo il fallimento della controffensiva ucraina, annegata in un mare di sangue, il Parlamento europeo rilanciava ancora l’obiettivo della “vittoria” e precisava che esso poteva essere conseguito “solo attraverso la fornitura continua, sostenuta ed in costante aumento di tutti i tipi di armi convenzionali all’Ucraina”.

Un mito coltivato in perfetta mala fede poiché i massimi esperti militari, a cominciare dal Capo di Stato Maggiore dell’esercito USA Mark Milley, avevano avvertito i palazzi della politica, già dal giugno del 2022 che il conflitto si era trasformato in una “guerra d’attrito”, tipo Prima guerra mondiale. In un’intervista al Financial Times del 16 febbraio 2023, Milley aveva ribadito che né l’Ucraina né la Russia erano in grado di vincere la guerra per cui l’unica soluzione possibile era quella di un negoziato.

Un altro esperto militare Lord David Julian Richards, ex capo di stato maggiore della difesa britannica, in un’intervista rilasciata alla BBC il 20 febbraio 2024, aveva ribadito l’impossibilità della vittoria riproponendo la necessità del negoziato: “E’ sempre più il caso di dire che dobbiamo negoziare con i russi.”

Il negoziato era stato invocato con accenti drammatici da Papa Francesco all’Angelus del 2 ottobre 2022: “Che cosa deve ancora succedere? Quanto sangue deve ancora scorrere perché capiamo che la guerra non è mai una soluzione, ma solo distruzione? In nome di Dio e in nome del senso di umanità che alberga in ogni cuore, rinnovo il mio appello affinché si giunga subito al cessate-il fuoco. Tacciano le armi e si cerchino le condizioni per avviare negoziati capaci di condurre a soluzioni non imposte con la forza, ma concordate, giuste e stabili. E tali saranno se fondate sul rispetto del sacrosanto valore della vita umana, nonché della sovranità e dell’integrità territoriale di ogni Paese, come pure dei diritti delle minoranze e delle legittime preoccupazioni.”

Appello accolto nel più gelido silenzio e contraddetto senza vergogna alcuna dalle ripetute istigazioni del Parlamento europeo a prolungare ed intensificare la guerra fino alla “vittoria”.

Non possiamo dimenticare e non possiamo perdonare il coro di insulti che si levò l’anno scorso quando, il 9 marzo 2024, Papa Francesco rilasciò un’intervista alla Radio Televisione svizzera esortando direttamente l’Ucraina ad aprire un negoziato per porre fine al prolungamento di una inutile strage: «Credo che è più forte quello che vede la situazione, pensa al popolo e ha il coraggio della bandiera bianca e negoziare. (.). Quella parola negoziare è una parola coraggiosa. Quando tu vedi che sei sconfitto, che la cosa non va, devi avere il coraggio di negoziare. E ti vergogni, ma se tu continui così, quanti morti (ci saranno) poi? E finirà peggio ancora. Non avere vergogna di negoziare prima che la cosa sia peggio”. Le parole del Papa fecero scandalo perché introducevano il “”principio di realtà“, mettendo in evidenza l’insensata irresponsabilità di una politica italiana, europea e atlantica che non voleva fare i conti con le proprie scelte e disvelandone il volto velleitario e necrofilo.

Finalmente il tabù che aveva interdetto la parola negoziato è caduto quando il 12 febbraio 2025, nel corso di una prima telefonata Trump e Putin hanno concordato di avviare negoziati immediati per cercare una soluzione diplomatica al conflitto. Per quanto le scelte di Trump non siano animate da motivi umanitari, ciò non toglie che il ritiro degli USA dal sostegno alla guerra contro la Russia apra un capitolo positivo nella storia europea, potendo finalmente porre termine a un orrendo spargimento di sangue fra popoli fratelli e al rischio di una nuova guerra mondiale. Il cessate il fuoco sembrava a portata di mano, invece siamo arrivati al 10 maggio e il conflitto non si è ancora arrestato, anzi il cessate il fuoco appare ancora lontano. Il fatto è che il partito unico della guerra, saldamente insediato nelle Cancellerie, nei vertici dell’UE e nel Parlamento europeo ha accolto con grande disappunto la scelta della nuova amministrazione americana di ritirarsi dalla guerra per procura combattuta contro la Russia, al punto che il Parlamento europeo, nella sua risoluzione del 12 marzo sul fermo sostegno all’Ucraina  ha espresso “sgomento per quanto riguarda la politica dell’amministrazione statunitense di riappacificarsi con la Russia.”

Il Consiglio europeo straordinario del 5 marzo ha fissato quelli che dovrebbero essere i principi per un accordo di pace, stabilendo che:

  • qualsiasi tregua o cessate il fuoco può avvenire solo nell’ambito di un processo che porti a un accordo di pace globale
  • qualsiasi accordo di pace deve essere accompagnato da solide e credibili garanzie di sicurezza per l’Ucraina che contribuiscano alla deterrenza di una futura aggressione russa
  • la pace deve rispettare l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina.

Nello stesso Consiglio è stato approvato il piano Re Arm Europe, presentato dalla Von der Layen che rilancia una straordinaria corsa al riarmo dei paesi europei proponendo la mobilitazione di 800 miliardi di euro nei prossimi cinque anni per la produzione e l’acquisto di armi. Questo piano di riarmo si inserisce all’interno di una strategia più vasta e va valutato alla luce di tale strategia. “Prontezza 2030” è una strategia di preparazione alla guerra che dovrebbe giungere a compimento nel 2030. Lo scopo di questo processo di riarmo è quello di prepararci alla guerra, come ha dichiarato il 18 marzo la stessa Ursula Von der Layen durante un discorso alla Royal Danish Military Academy a Copenaghen.

Per rendere ancora più chiara l’ostilità a concludere un accordo di pace, è intervenuto il Parlamento Europeo che, nella medesima Risoluzione del 12 marzo, al punto 7 “ribadisce il suo impegno (..) a favore della formula di pace e del piano per la vittoria presentati dal presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy; ritiene che si tratti di un piano completo (..) che comprende gli elementi costitutivi di una pace globale, giusta e duratura in Ucraina (..) che richiede il completo ripristino dell’integrità territoriale dell’Ucraina, l’attribuzione di responsabilità per i crimini di guerra e il crimine di aggressione, il pagamento di risarcimenti da parte della Russia per gli ingenti danni causati in Ucraina, il fatto che i responsabili siano chiamati a rispondere pienamente.” In realtà il c.d. piano per la vittoria presentato da Zelensky, non è un piano di pace ma di capitolazione e resa della Russia: di conseguenza è un piano di continuazione della guerra, tanto più assurdo in quanto è l’Ucraina, non la Russia, che ha perso la guerra. Insistendo su questa strada non si costruisce la pace, ma si pongono dei macigni sul percorso del negoziato. Un altro macigno è quello che insiste per l’ammissione dell’Ucraina nella NATO (punto 21).

Per silurare ulteriormente il negoziato di pace, è intervenuto nuovamente il Parlamento Europeo il 2 aprile con una Risoluzione monstre in cui si ribadisce ancora una volta l’impegno finanziario e militare per consentire all’Ucraina di “conseguire la vittoria contro la Russia” e “ripristinare la sua integrità territoriale entro i confini riconosciuti a livello internazionale.” Per evitare che – a negoziato in corso – si possa andare ad un affievolimento della violenza bellica, il Parlamento Europeo “invita gli Stati membri a revocare tutte le restrizioni che impediscono all’Ucraina di utilizzare sistemi d’arma occidentali contro obiettivi militari legittimi in territorio russo.”

Altro piombo sulle ali del negoziato è stato posto dall’iniziativa di Francia e Regno Unito che si sono attivati per dar vita ad una coalizione di volenterosi, disposti ad inviare in Ucraina, non una missione di peacekeeping, ma una “forza di interdizione”, pronta a combattere contro la Russia.

Questo complesso di fattori si inserisce nel quadro di un vero e proprio delirio antirusso che ha contagiato tutti i vertici dell’Unione europea, compreso il Parlamento che, nella deliberazione del 2 aprile, ha attribuito alla Russia “l’intenzione di dichiarare guerra ai paesi europei o di cercare di destabilizzarli”, dichiarando – senza ombra di pudore –  che il regime russo rappresenta: “la minaccia più grave e senza precedenti per la pace nel mondo, nonché per la sicurezza ed il territorio dell’UE e dei suoi Stati membri”.

A ben vedere si tratta di una narrazione paranoica funzionale a giustificare una strategia aggressiva dell’Europa contro la Russia. In proposito ha osservato Pino Arlacchi (il Fatto del 27 aprile) “Presentare un Paese come aggressore incombente, in assenza di prove, serve solo a provocare, ad alimentare una spirale di tensione che potrebbe sfuggire al controllo delle parti. E trasformarsi in una profezia che si auto-adempie, dove il nemico immaginario è costretto a trasformarsi in nemico reale”.

I documenti europei comunque prendono atto che si sono aperti dei negoziati che – a dire dell’UE -devono sfociare in “una pace giusta e duratura”, secondo l’approccio di conseguire “la pace attraverso la forza”. Il vero problema è quale sbocco dare al cessate il fuoco prossimo futuro: se deve trattarsi di una tregua permanente, come si è verificata in Corea dove, l’armistizio, firmato il 27 luglio 1953, dopo oltre settant’anni non è sfociato in un Trattato di pace, oppure se dalla tregua delle armi si deve passare a un progetto di pace che coinvolga la Russia e tutti gli altri popoli europei e incida sulla vita della stessa Ucraina. Alla luce dei presupposti che abbiamo esaminato, i vertici dell’UE non contemplano nessun altro sbocco possibile che non sia una tregua armata, destinata a perdurare nel quadro di una crescente ostilità, restando sempre sullo sfondo la possibilità di una ripresa della guerra contro il nemico russo, secondo la logica della profezia che si autoavvera. Invece per costruire una pace vera occorre un progetto di pace. In un’intervista al Corriere della Sera del 28 giugno 2022, Henry Kissinger poneva il problema di come porre fine al conflitto. «Stiamo arrivando a un momento – afferma – in cui bisogna affrontare la questione della fine della guerra in termini di obiettivi politici altrettanto che militari: non si può semplicemente continuare a combattere senza un obiettivo».. Per Kissinger l’unico obiettivo realistico che può garantire la pace è di reintegrare la Russia nell’Europa, non certo spingerla ad est nelle braccia della Cina. Perché questo è il punto centrale del suo ragionamento: va sconfitta l’invasione dell’Ucraina, «non la Russia come Stato e come entità storica». E dunque, quando le armi alla fine taceranno, «la questione del rapporto fra Russia ed Europa andrà presa molto seriamente». Il presupposto, sottolinea Kissinger, è che la Russia è stata parte della storia europea per cinquecento anni, è stata coinvolta in tutte le grandi crisi e «in alcuni dei grandi trionfi della storia europea»: e pertanto «dovrebbe essere la missione della diplomazia occidentale e di quella russa di tornare al corso storico per cui la Russia è parte del sistema europeo. La Russia deve svolgere un ruolo importante». Non ci sono solo le ragioni geopolitiche indicate da Kissinger, ci sono ragioni più profonde di carattere politico, etico, culturale. La Russia ha dato il contributo decisivo alla sconfitta del nazismo e – superata la guerra fredda – ha aperto gli orizzonti per la convivenza pacifica e armoniosa di tutti i popoli europei, dagli Urali all’Oceano atlantico; la sua cultura, da Tolstoj a Dostoevskij, da Pasternak a Bulgakov, da Sostakovic a Stravinskij, da Kandisky a Chagall, fa parte del patrimonio spirituale irrevocabile dell’Europa. Non possiamo concepire il cessate il fuoco come una tregua armata in cui si continua a coltivare l’ostilità e si affilano le armi nella prospettiva di un redde rationem finale.  

Tregua o pace, questo è il vero dilemma.

L’approccio dei vertici UE secondo cui i negoziati devono sboccare in una “pace giusta e duratura”, da conseguire “attraverso la forza” rende la pace impossibile e trasforma l’eventuale cessate il fuoco in una semplice tregua d’armi. La pretesa che per pervenire alla pace sia necessario consentire all’Ucraina  di “ripristinare la sua integrità territoriale entro i confini riconosciuti a livello internazionale” è tanto assurda quanto lo sarebbe la pretesa di ricostituire la Jugoslavia entro i confini del 1991. L’integrità territoriale dell’Ucraina si è sfaldata oltre 11 anni fa per vicende interne che hanno portato alla rottura della convivenza fra la componente ucraina e quella russofona della popolazione, determinata da una politica che ha soffiato sul fuoco di un esasperato ipernazionalismo e delle discriminazioni etniche e linguistiche.

Nel 2014, dopo il traumatico cambio del regime politico a Kiev, il Consiglio Supremo della Repubblica di Crimea votò all’unanimità la dichiarazione d’indipendenza dall’Ucraina e chiese l’annessione alla Russia. Il 16 marzo del 2014 un referendum popolare approvò l’annessione alla Russia con il 96,77% di voti favorevoli, con la partecipazione dell’83,1% degli aventi diritto al voto. Da allora la Crimea costituisce una Repubblica autonoma inserita nella Federazione Russa.

Nello stesso contesto la popolazione russofona del Donbass si ribellò al nuovo potere politico instaurato a Kiev e iniziò una sanguinosa guerra civile, che ha provocato circa 14.000 morti e uno strascico di combattimenti che è proseguito ininterrottamente fino al 24 febbraio 2022, malgrado gli “accordi di pace” di Minsk I e Minsk II.

Se si vuole ristabilire la pace fra Russia ed Ucraina non si può prescindere dal “principio di realtà”. Il principio dell’integrità territoriale non può essere declinato contro la storia e contro l’autodeterminazione dei popoli. Non si può pretendere di smembrare la Federazione russa, riunificando la Crimea all’Ucraina contro la volontà dei suoi stessi abitanti. Nel negoziato di pace non si può ignorare la guerra civile che ha funestato l’Ucraina determinando la secessione di una parte dei territori del Donbass. Bisogna partire dalla realtà per negoziare degli accordi che mettano in equilibrio gli interessi reali e i bisogni dei popoli. Se l’assetto della Crimea non può essere rimesso in gioco, il vero nodo del negoziato di pace riguarda la nuova delimitazione dei confini nel Donbass. Sul tavolo del negoziato deve essere rimesso in discussione  il provvedimento di annessione di quattro oblast ucraini: Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia, emesso dal Cremlino il 30 settembre 2022. La delimitazione del nuovo confine non può essere stabilita dalle linee armistiziali fra gli eserciti. Dovranno essere le popolazioni locali, attraverso un referendum gestito dalle Nazioni Unite, a scegliere da quale parte del confine vogliono vivere. In questo modo il conflitto sulla sovranità verrà temperato dal principio dell’autodeterminazione dei popoli.

La pace deve aprire un percorso di riconciliazione fra russi e ucraini, fra russi e tutti gli altri popoli europei, prosciugando il muro d’odio, lastricato da un milione di morti, che la guerra ha creato fra i due popoli. Non è un’impresa impossibile. Nel secolo scorso ci sono riusciti i francesi e i tedeschi malgrado le devastazioni e i lutti creati da due guerre mondiali. Lo stesso Putin ha dichiarato in un’intervista del 4 maggio che la riconciliazione è inevitabile. Per favorire la riconciliazione è importante che la Russia collabori alla ricostruzione dell’Ucraina e che Kiev ponga fine ad ogni discriminazione nei confronti della popolazione russofona e alla demonizzazione della lingua e cultura russa.

Dal cessate il fuoco deve partire un percorso che vada decisamente in direzione contraria ai fatti e misfatti che hanno portato al conflitto. Bisogna tornare indietro rispetto alle scelte che hanno provocato la frattura della convivenza sia all’interno dell’Ucraina, sia fra l’Ucraina e la Russia e la militarizzazione delle rispettive società.

Per favorire la convivenza pacifica in Ucraina devono essere abrogate tutte le misure di discriminazione e di derussificazione culturale che hanno portato all’epurazione di oltre 19 milioni di volumi in lingua russa dalle biblioteche del paese, deve essere ripristinato l’insegnamento della lingua russa come lingua ufficiale accanto a quella ucraina, deve essere revocato il bando degli undici partiti politici messi fuori legge con un decreto del 20 marzo 2022, deve essere revocato il bando, emesso il 20 agosto 2024, della Chiesa ortodossa ucraina affiliata al Patriarcato di Mosca. Un’amnistia generale deve cancellare tutte le condanne ed i procedimenti per reati collegati alla guerra, come disobbedienza, diserzione, mancanza alla chiamata, nonché per i relativi reati d’opinione. Sul fronte della Russia bisogna puntare alla revoca di tutte le misure che hanno provocato un irrigidimento autoritario a causa della guerra. In particolare vanno abrogate le leggi sulla censura e criminalizzazione della critica, i provvedimenti di censura o soppressione dei media indipendenti, i provvedimenti di messa al bando delle ONG. Ugualmente in Russia come in Ucraina è necessaria un’amnistia generale per cancellare tutte le condanne ed i procedimenti per reati collegati alla guerra e per i relativi reati d’opinione. Nel processo di riappacificazione l’Unione Europea deve revocare tutte le sanzioni e la Russia deve essere invogliata a partecipare alla ricostruzione delle strutture civili distrutte o danneggiate per effetto della guerra.  

E’ illusorio e disonesto pretendere di costruire la pace attraverso la forza. La pace non ha bisogno di forza, né di forzature della realtà, né di garanzie di sicurezza armate. Soprattutto non si può costruire nessun percorso di pace alzando una nuova cortina di ferro e identificando la Russia come ”la minaccia più grave per la pace nel mondo”.  La pace si costruisce avendo come obiettivo la pace, cioè il superamento dell’ostilità in una riconquistata dimensione di fraternità fra i popoli.

Non possiamo ignorare che sullo sfondo di questo drammatico conflitto siamo giunti all’ora più buia dell’Europa, che si riarma e minaccia di precipitarci di nuovo nel baratro di una guerra mondiale.   Come ha osservato Pino Arlacchi: “Ci dibattiamo nella melma di un’Europa ricaduta nell’inciviltà e nella barbarie, dove sulla bocca delle sue élite, dopo 80 anni di pace, ricompaiono parole di guerra e di aggressione. Bruxelles, Parigi, Londra e Berlino sembrano immemori della lezione di due guerre mondiali che hanno portato il continente sull’orlo dell’autodistruzione.”

La cosa più assurda è che noi non abbiamo interessi contrapposti, non siamo animati da ideologie avversarie, come durante la guerra fredda, non abbiamo alcun interesse che possa provocare o giustificare atti di ostilità verso il popolo russo e viceversa. Al contrario abbiamo tutto l’interesse, a riaprire le porte del dialogo con la Federazione russa, a restaurare la collaborazione economica interrotta dalle sanzioni, a riprendere gli scambi culturali che ci arricchiscono reciprocamente.

Per la nostra salvezza, per la salvezza dell’Europa dobbiamo contrastare con tutti i mezzi pacifici possibili questo delirio bellicista delle èlite europee.

Se i livelli istituzionali sono bloccati dal delirio delle elite, bisogna partire dal basso per costruire un percorso di pace. La costruzione dell’amicizia fra i popoli può essere oggetto di iniziative di diplomazia popolare.  Noi qui in Italia abbiamo l’esempio luminoso di Giorgio La Pira, che – in un’epoca di fortissima contrapposizione politica, ideologica e militare fra blocchi contrapposti – fu capace di rompere i muri dell’ostilità e dell’incomprensione e far dialogare le città nemiche nella prospettiva dell’interesse superiore dell’umanità. In piena guerra fredda nel 1955 La Pira riuscì a radunare a Firenze i sindaci di 37 capitali, fra cui Bombey, Parigi, Londra, Mosca, Pechino, Karachi e Città del Capo, presente anche l’ambasciatore dell’Unione sovietica, e a stipulare un patto di fraternità e di ripudio della guerra.  

Il modo migliore per delegittimare la frenesia bellica di Von der Layen e compagni è quello di stimolare il dialogo fra i popoli e di stipulare patti di amicizia fra le città, scambi culturali orientati alla fraternità, dai quali emerga che il popolo russo non è il nostro nemico, disvelando il volto truffaldino e grottesco dell’invenzione politica del nemico.

Roma, 10 maggio 2025                           Domenico Gallo                       

Autore: Domenico Gallo

Nato ad Avellino l'1/1/1952, nel giugno del 1974 ha conseguito la laurea in Giurisprudenza all'Università di Napoli. Entrato in magistratura nel 1977, ha prestato servizio presso la Pretura di Milano, il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, la Pretura di Pescia e quella di Pistoia. Eletto Senatore nel 1994, ha svolto le funzioni di Segretario della Commissione Difesa nell'arco della XII legislatura, interessandosi anche di affari esteri, in particolare, del conflitto nella ex Jugoslavia. Al termine della legislatura, nel 1996 è rientrato in magistratura, assumendo le funzioni di magistrato civile presso il Tribunale di Roma. Dal 2007 al dicembre 2021 è stato in servizio presso la Corte di Cassazione con funzioni di Consigliere e poi di Presidente di Sezione. E’ stato attivo nel Comitato per il No alla riforma costituzionale Boschi/Renzi. Collabora con quotidiani e riviste ed è autore o coautore di alcuni libri, fra i quali Millenovecentonovantacinque – Cronache da Palazzo Madama ed oltre (Edizioni Associate, 1999), Salviamo la Costituzione (Chimienti, 2006), La dittatura della maggioranza (Chimienti, 2008), Da Sudditi a cittadini – il percorso della democrazia (Edizioni Gruppo Abele, 2013), 26 Madonne nere (Edizioni Delta Tre, 2019), il Mondo che verrà (edizioni Delta Tre, 2022)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Facebook