La Cassazione liberalizza i crimini di guerra

Le cronache politiche dell’anno II del Governo Berlusconi sono tutte incentrate sullo scontro titanico sulla giustizia, (rectius sull’impunità del Premier e dei suoi sodali), che si articola fra le aule del Tribunale e i Palazzi romani. e rimbalza nei girotondi e nella manifestazioni popolari per la legalità. A leggere queste cronache sembrerebbe che l’autorità giudiziaria nel suo insieme fornisca un baluardo ai progetti di illegalità e di arbitrio che avanzano prepotentemente nel mondo politico.

A ben vedere la linea di resistenza all’arbitrio è molto più frastagliata di quel che appare. Le esigenze di impunità di questa classe dirigente hanno trovato, in più di una occasione, una benevola comprensione fra i guardiani delle regole. Basti pensare che la c.d. “legge Cirami”, presentata alla Camera il 9 luglio 2002, ha trovato appiglio in una “provvidenziale” ordinanza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, depositata il 5 luglio, che accogliendo la richiesta degli avvocati di Berlusconi e Previti, sollevava un dubbio di costituzionalità della norma del codice di procedura penale che non consentiva il giochino della rimessione ad altra sede dei processi di Milano.

Però è passata quasi inosservata una ben più grave ordinanza, depositata nel corso del mese di giugno, con la quale le Sezioni Unite hanno realizzato la più grande liberalizzazione giudiziaria che si sia mai verificata dalla fondazione della Repubblica. In un’epoca in cui trionfa la liberalizzazione ed arretrano i vincoli del diritto, le Sezioni Unite hanno dato la stura alla madre di tutte le liberalizzazioni. Hanno “liberalizzato” la guerra, sciogliendola dai vincoli noiosi del diritto, fino al punto da sancire l’insindacabilità giudiziaria dei crimini di guerra.

Così, senza tanto clamore, è fiorita una nuova libertà per il potere. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, hanno riconosciuto, gratis, a Berlusconi una assoluta (in quanto insindacabile) libertà di bombardamento.

E’ accaduto che la NATO la notte del 23 aprile 1999 ha attaccato gli studi della Radio Televisione Serba, provocando la morte di 16 persone. Tale episodio bellico è stato fortemente contestato dalle organizzazioni che si occupano della tutela dei diritti umani, in primis Amnesty International in quanto organizzare attacchi contro i civili e le strutture civili è drasticamente proibito dalla convenzioni internazionali. In altre parole la strage che ne è seguita costituirebbe un crimine di guerra. (si veda in proposito il documento NATO/RTF: unlawful killings or collateral damages?, Lontra, giugno 2000, di cui è possibile leggere una versione italiana sul sito www.domenicogallo.it).

I parenti di alcune vittime che, per loro sfortuna conoscevano l’Italiano, hanno letto la Costituzione italiana, in particolare l’art. 2, che assicura che esistono dei diritti dell’uomo che – addirittura – sono inviolabili; l’art. 24 che assicura che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e l’art. 113 che assicura che la tutela dei diritti è garantita – persino – contro gli atti della Pubblica Amministrazione. Trattandosi di persone semplici e sprovvedute, costoro hanno commesso l’imperdonabile ingenuità di credervi. Per questo hanno citato in giudizio, innanzi al Tribunale civile di Roma, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Ministro della Difesa chiedendo che il Giudice accertasse se i loro congiunti avevano il dovere di morire o se anche per essi valeva il principio che la vita umana vale qualcosa, tanto che non può essere soppressa se le convenzioni internazionali lo vietano.

C’è da premettere che negli Stati Uniti una causa del genere non sarebbe stata possibile perché in quell’ordinamento, tanto più civile del nostro, vige da tempo immemorabile il principio della immunità dalla giurisdizione degli atti di sovranità. Questo grande principio di civiltà giuridica assicura al Presidente degli Stati Uniti la libertà di bombardare chi vuole, quando vuole e come vuole, senza dover renderne conto a nessuno. Questo non vuol dire che il Presidente degli Stati Uniti possa fare quello che vuole, tanto da essere sottratto al controllo dei giudici. E’ vero che è libero di sganciare una bomba atomica e – magari – provocare la morte di qualche milione di persone, però se tradisce la moglie sono guai, ed i giudici in quel paese sanno essere inflessibili, come insegna la vicenda di Bill Clinton e Monica Lewinski.

In Italia questo principio non è mai esistito. Esisteva una più modesta immunità degli atti puramente politici (come promulgare una legge o indire un referendum), che non potevano essere sottoposti a sindacato giurisdizionale in quanto espressione di una attività politica, non assoggettabile a parametri di riferimento giuridici, essendo libera nel fine, ed in quanto non incidenti su diritti soggettivi garantiti dall’ordinamento.

C’è da premettere che di fronte alla Corte Europea dei Diritti dell’uomo si è svolta un’altra causa promossa da altri parenti della vittime della stessa strage compiuta negli studi della televisione serba, i quali – a loro volta – hanno commesso l’ingenuità di leggersi la Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo e di credere che la stessa si applicasse anche alle nefandezze compiute in Jugoslavia.

Nel corso del giudizio i giudici di Strasburgo hanno rivolto una domanda al Governo italiano, chiedendogli “se la dottrina dell’immunità della sovranità è riconosciuta nel diritto italiano?”

A questa domanda il co-agente italiano (con una nota del 13 novembre 2001) ha risposto richiamando la dottrina dell’immunità degli atti politici ed ha poi dichiarato: “E’ perfettamente possibile arguire che, mentre la partecipazione dell’Italia alla campagna militare contro la Repubblica Federale Jugoslava è essa stessa un atto politico, come tale in suscettibile di sindacato giurisdizionale, non vi sono ostacoli al sindacato giurisdizionale rispetto alle singole operazioni eseguite in tale contesto (come per esempio il bombardamento dell’edificio della RTS) sulla base dell’allegazione che esse sono state illecite ed hanno causato danni ingiusti a singoli individui ”.

Com’è noto alle Corti internazionali non si possono raccontare balle, tanto più che a Strasburgo siede un giudice italiano. Per questo – in via del tutto eccezionale – il co-agente italiano ha detto la verità.

Ma torniamo al giudizio pendente innanzi al Tribunale di Roma. L’avvocatura dello Stato, che per legge difende i Ministri, si è costituita e non ha speso una parola per controbattere gli argomenti giuridici e di fatto sollevati dai parenti delle vittime. Ha invocato semplicemente la carenza di giurisdizione, cioè ha detto che il giudice non doveva permettersi di giudicare. Poiché tale maleducata eccezione, oltretutto non argomentata dal punto di vista giuridico, aveva una possibilità di essere accolta equivalente a zero, l’Avvocatura ha chiamato in soccorso le Sezioni Unite della Cassazione, ricorrendo ad un espediente procedurale: il ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione. Quando viene proposto il Regolamento preventivo il giudice deve fermarsi ed attendere che le Sezioni Unite risolvano il problema.

Ed è proprio quello che è successo, la causa iniziata innanzi al Tribunale di Roma è stata immediatamente sospesa dopo la prima udienza.

Tuttavia la strada scelta dall’Avvocatura per bloccare il giudice naturale del processo appariva tecnicamente impraticabile. Infatti le Sezioni Unite delle Cassazione avevano da anni assunto un indirizzo giurisprudenziale che dichiarava inammissibile il ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione nei casi di difetto assoluto di giurisdizione, In questi casi – sostenevano le Sezioni Unite – non si pone un problema di giurisdizione, ma una questione di merito. E’ il giudice di merito che deve conoscere il fatto e decidere se la pretesa fatta valere in giudizio può essere tutelata o meno. A questo punto il lettore sprovveduto si chiederà, come hanno fatto le Sezioni Unite a dichiarare ammissibile il ricorso se in base alla loro giurisprudenza esso era palesemente inammissibile?

La risposta è semplice. Avete mai sentito parlare del miracolo italiano? L’Italia è un paese dove i miracoli esistono, anche in Cassazione. Così al primo punto della motivazione dell’ordinanza i sommi giudici dicono: “il regolamento di giurisdizione è ammissibile”. Quindi precisano che è questione di giurisdizione “anche quella su cui si deve statuire che ogni giudice difetta di giurisdizione” e richiamano una precedente pronunzia del 1978, tacendo sull’indirizzo contrario che esse avevano introdotto e consolidato negli ultimi venti anni. Come motivano le Sezioni Unite questo miracoloso cambiamento di indirizzo? E’ semplice, non lo motivano affatto. Al di sopra delle Sezioni Unite c’è solo il tribunale di Dio, non c’è bisogno, quindi, di motivare. Entrando nel vivo del problema le Sezioni Unite affermano: “La domanda riferisce allo Stato italiano una responsabilità che è fatta dipendere da un atto di guerra, in particolare da una modalità di conduzione delle ostilità belliche rappresentata dalla guerra aerea.” Quindi sentenziano: “La scelta di una modalità di conduzione delle ostilità rientra fra gli atti di Governo”. Si tratta di atti che costituiscono manifestazione di una funzione politica, rispetto alla quale non è possibile configurare una situazione di “interesse protetto a che gli atti in cui si manifesta assumano o non assumano un determinato contenuto”. Ragion per cui “rispetto ad atti di questo tipo nessun giudice ha il potere di sindacato circa il modo in cui la funzione viene esercitata”. Insomma, i giudici devono tacere.

Peccato, però, che i parenti delle vittime non avevano mai contestato alcuna funzione politica dello Stato italiano. Essi, infatti non avevano mai chiesto al giudice italiano di sindacare le scelte di politica internazionale compiute dal nostro governo, né, avevano chiesto di applicare l’art. 11 della Costituzione, secondo cui l’Italia – addirittura – ripudia la guerra (che esagerazione!), né – tanto meno – avevano chiesto di sindacare le modalità di conduzione della guerra aerea.

I meschini avevano avuto solo l’ardire di chiedere al giudice italiano di valutare se la strage compiuta in loro danno fosse stata realizzata secondo diritto o meno, poiché – in teoria – esiste un diritto che regola anche queste cose.

La teoria avanzata dalle Sezioni Unite è veramente singolare. Infatti è la prima volta che in Italia una strage viene dichiarata un atto politico e gli viene fornita l’immunità giurisdizionale. Dal punto di vista delle fenomenologia giuridica, una strage non è un atto deliberativo (che sia esso politico o meno) bensì è il risultato di una operazione materiale, come ha osservato in proposito il co-agente italiano a Strasburgo. Tuttavia se la si fosse considerata nella sua natura di operazione materiale, la strage non avrebbe potuto essere coperta con il pietoso velo protettivo dell’atto politico. Ecco perché le Sezioni Unite, a prezzo di una piccolissima forzatura della logica e della lingua italiana, (l’Accademia della Crusca non gliene voglia!) definiscono la strage una “modalità di conduzione della guerra aerea”.

La dilatazione fino all’infinito del concetto di atto politico, però, non bastava a mettere al riparo l’ “atto di Governo” da ogni critica giuridica. Infatti le vittime hanno sostenuto la fastidiosa tesi che persino gli atti di Governo o di sovranità sono assoggettati a delle regole giuridiche che ne limitano la libertà (come ribadisce lo Statuto istitutivo della Corte Penale Internazionale) vietando – per esempio – il genocidio, la tortura o i crimini di guerra, ed hanno invocato i trattati internazionali firmati dall’Italia. A questo riguardo le Sezioni Unite osservano: “Le norme del Protocollo di Ginevra del 1977 e della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, hanno come oggetto la protezione dei civili in caso di attacchi, ma in quanto norme di diritto internazionale regolano i rapporti fra Stati.” Poi osservano che le leggi che hanno dato applicazione a tali Trattati internazionali nel nostro ordinamento interno “non contengono norme espresse che consentono alle persone offese di chiedere allo Stato riparazione dei danni loro derivati dalla violazione delle norme internazionali” Quindi osservano “che disposizioni di questo contenuto siano implicitamente risultate introdotte nell’ordinamento per effetto dell’esecuzione data alle norme di diritto internazionale è principio che trova, poi, ostacolo in quello contrario, per cui alle funzioni di tipo politico non si contrappongono situazioni soggettive protette.” Traducendo in soldoni, con questo linguaggio paludato le Sezioni Unite hanno espresso un concetto molto semplice e neppure tanto originale: i trattati internazionali sono pezzi di carta (soprattutto quelli che riguardano i diritti dell’uomo). Di fronte a questa affermazione tanto drastica e perentoria, quanto surreale, appare come un faro di civiltà giuridica persino lo Stato di Israele che, dinanzi alla sua Corte Suprema, ha espressamente riconosciuto che le sue forze armate, nelle conduzione delle ostilità, sono giuridicamente vincolate al rispetto delle norme del diritto bellico e non ha mai rivendicato, né ottenuto (almeno formalmente) l’immunità dal controllo di legalità dei propri giudici- (cfr. Sentenza n. 2941 del 8 aprile 2002).

Invece in Italia il potere esecutivo, grazie a questa generosa ordinanza delle Sezioni Unite, è diventato un princeps legibus solutus poiché di fronte all’esercizio della funzione politica di compiere un bombardamento ed una strage conseguente, non si possono contrapporre “situazioni soggettive protette”. Insomma le vittime di crimini di guerra devono crepare e non possono accampare diritti E che non si azzardino a rivolgersi ad un giudice!

A questo punto non ci resta che sperare che il Ministro dell’Interno non legga l’ordinanza. Non si sa mai. Domani qualcuno potrebbe scoprire che sparare sull’opposizione in piazza è esercizio di una insindacabile funzione politica.

Autore: Domenico Gallo

Nato ad Avellino l'1/1/1952, nel giugno del 1974 ha conseguito la laurea in Giurisprudenza all'Università di Napoli. Entrato in magistratura nel 1977, ha prestato servizio presso la Pretura di Milano, il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, la Pretura di Pescia e quella di Pistoia. Eletto Senatore nel 1994, ha svolto le funzioni di Segretario della Commissione Difesa nell'arco della XII legislatura, interessandosi anche di affari esteri, in particolare, del conflitto nella ex Jugoslavia. Al termine della legislatura, nel 1996 è rientrato in magistratura, assumendo le funzioni di magistrato civile presso il Tribunale di Roma. Dal 2007 al dicembre 2021 è stato in servizio presso la Corte di Cassazione con funzioni di Consigliere e poi di Presidente di Sezione. E’ stato attivo nel Comitato per il No alla riforma costituzionale Boschi/Renzi. Collabora con quotidiani e riviste ed è autore o coautore di alcuni libri, fra i quali Millenovecentonovantacinque – Cronache da Palazzo Madama ed oltre (Edizioni Associate, 1999), Salviamo la Costituzione (Chimienti, 2006), La dittatura della maggioranza (Chimienti, 2008), Da Sudditi a cittadini – il percorso della democrazia (Edizioni Gruppo Abele, 2013), 26 Madonne nere (Edizioni Delta Tre, 2019), il Mondo che verrà (edizioni Delta Tre, 2022)

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