La Costituzione ed il giorno della memoria

Sono passati solo pochi giorni dal 27 gennaio, “Giorno della Memoria”, istituito con una legge del 2000: “al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei”. In occasione del Giorno della Memoria, la legge richiede che siano organizzate iniziative ed incontri, in particolare nelle scuole: “in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia, affinché simili eventi non possano mai più accadere”.

E’ proprio questo il messaggio che ci ha consegnato il premio nobel per la pace Elie Wiesel, testimone autorevole di quella tragedia e sopravvissuto all’inferno di Auschwitz, durante la celebrazione del giorno della memoria, che si è svolta a Montecitorio. Elie Wiesel ha concluso il suo discorso con queste parole:

“noi non viviamo nel passato, ma il passato vive nel presente, ed il nostro dovere rimane quello di umanizzare il destino, il mio e il vostro destino. Ricordiamo: qualsiasi cosa noi facciamo, qualsiasi cosa noi diciamo, qualsiasi siano i nostri obiettivi, non dobbiamo consentire che il nostro passato diventi il futuro dei nostri figli.” Ebbene, quale è stato l’obiettivo costantemente presente in tutti i padri costituenti, dal primo all’ultimo giorno delle loro fatiche, se non quello di chiudere per sempre le porte dell’inferno per preservare le generazioni future dal ritorno di quella barbarie che aveva sconvolto l’esistenza di milioni di uomini ?

Non si trattava soltanto di debellare il fascismo ed il nazismo storico, si trattava di rovesciare quella storia vecchia che aveva partorito il fascismo ed i disastri delle due guerre mondiali; di annunziare una nuova storia, un nuovo cielo ed una nuova terra, in cui l’umanità fosse liberata, per sempre, dal dispotismo, dalla minaccia delle guerre, delle violenze, delle discriminazioni, del disprezzo dei diritti universali dell’uomo e dei popoli.

Due sono i fondamenti dell’ordine costituzionale.

Il primo è il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti uguali ed inalienabili. Questo riconoscimento è il tronco principale dal quale derivano i rami dei nostri diritti, delle nostre libertà, delle nostre autonomie individuali e collettive.

Il secondo è l’architettura del sistema, l’ordinamento democratico organizzato intorno al principio del pluralismo dei poteri, che vede i poteri pubblici separati, articolati e distribuiti. (In questo sistema il potere degli organi di direzione politica è bilanciato dal potere degli organi di garanzia ed il potere dei Governanti deve confrontarsi con la centralità del Parlamento, che a sua volta incontra un limite nella Corte Costituzionale). La Costituzione ha deposto dal trono i sovrani del passato ed ha creato le condizioni per impedire che potessero ritornare nel nostro futuro nuovi Sovrani, sotto qualsiasi altra forma. In questo contesto, lo snodo fondamentale del pluralismo istituzionale è dato dal sistema che garantisce l’indipendenza della magistratura (e quindi del potere giudiziario) da ogni altro potere.

Questa architettura costituzionale impedisce che, se mai giungano al governo o conquistino la maggioranza parlamentare forze politiche caratterizzate da cultura o aspirazioni antidemocratiche, queste forze possano realizzare nuove forme di dispotismo ed aggredire nuovamente le libertà e la dignità di ogni persona. La Costituzione, insomma, rende tendenzialmente impossibile il ritorno verso forme di “dittatura della maggioranza”.

Proprio per questo la Costituzione è il bersaglio principale di una politica che, al tempo stesso, non riconosce più il valore della dignità inerente ad ogni persona e persegue il dispotismo, esigendo la concentrazione di tutti i poteri nelle mani di un capo politico, rispecchiato nella figura di Silvio Berlusconi o di una ristretta elite, che si ribella persino al controllo di legalità.

E’ paradossale che in Parlamento si celebri la giornata della memoria, si scopra una targa per commemorare e ripudiare le leggi razziali del fascismo quando si sfornano in continuazione leggi che costruiscono la discriminazione e addirittura ripescano istituti tipici della legislazione razziale, come il divieto dei matrimoni misti, che dopo settant’anni è stato reintrodotto nel nostro ordinamento. Questa volta non più nei confronti degli ebrei ma nei confronti di una popolazione (quella dei lavoratori immigrati in condizione irregolare) che, come gli ebrei 70 anni fa, è stata privata di quei diritti che non sono dipendenti dalla cittadinanza, ma attengono alla dignità inerente ad ogni persona, come appunto il diritto di contrarre matrimonio con la persona amata, o il diritto di avere un tetto sotto il quale dormire, o il diritto di inviare alle proprie famiglie il denaro frutto del proprio lavoro.

Insomma, è stata creata una categoria di non-persone che sono illegali per il semplice fatto di esistere, come ci testimonia il reato di immigrazione clandestina.

E’ certamente per responsabilità di questa classe dirigente e dei modelli sociali che essa propone, se noi viviamo immersi in un tempo in cui l’universalismo dei diritti umani è stato cancellato in modo forsennato e sostituito dall’egoismo individuale, sociale e di gruppo, inteso come nuovo vangelo del vivere civile.

Un tempo percorso dai veleni della discriminazione e del razzismo, che si esprimono in una ricerca di esclusività, in una esacerbata affermazione di identità, in una ostilità per lo straniero, in un ostracismo per il diverso, in una caduta delle garanzie giuridiche, in una difesa corporativa del proprio gruppo, regione o cortile, in un daltonismo sociale che non ha occhi per il colore della pelle degli altri. Un tempo in cui i leaders politici lanciano messaggi che incitano alla discriminazione ed all’odio razziale. Come quel tale che nel settembre 2008 a Venezia arringava le folle con queste testuali parole: “Voglio la rivoluzione contro i campi dei nomadi e degli zingari (..) io ne ho distrutti due a Treviso (..) voglio eliminare i bambini che vanno a rubare agli anziani. (..) Questo è il vangelo di Gentilini: tutto a noi, e se avanza qualcosa agli altri.” Un tempo in cui coloro che esercitano un ruolo di responsabilità istituzionale orientano l’opinione pubblica al disprezzo dei diritti dei soggetti più deboli, in particolar modo dei migranti, e guidano la legislazione, introducendo misure discriminatorie – come abbiamo visto – rispetto alle quali impallidirebbero persino le leggi razziali del 1938. Quando un ministro dell’interno ha la spudoratezza di dichiarare: “con gli immigrati dobbiamo essere cattivi” e poi si vanta di aver rispedito all’inferno i profughi che attraversano il Mediterraneo alla ricerca della salvezza, infischiandosene delle leggi internazionali e dei richiami dell’ONU. Quando questa azione disumana viene presentata come un modello su cui costruire consenso popolare ed elettorale, allora non dobbiamo meravigliarci se ieri a Ponticelli, alcuni facinorosi, interpreti dello spirito dei tempi, danno alle fiamme il campo Rom e se oggi, altri sciagurati, a Rosarno organizzano un pogrom per scacciare “i negri” dal loro territorio, cioè quei lavoratori africani di cui l’agricoltura non ha più bisogno. Del resto questi sentimenti sono continuamente alimentati dalle dichiarazioni irresponsabili dei leaders politici, come quella fatta dal Presidente del Consiglio a Reggio Calabria il 28 gennaio (il giorno dopo il giorno della memoria) che ha detto testualmente: “una riduzione degli extracomunitari in Italia significa meno forze che vanno ad ingrossare le schiere dei criminali.”

Attraverso queste forme, una politica meschina delegittima la Costituzione cercando di distruggere le basi di consenso sui quei valori fondamentali che sono il patrimonio morale consegnatoci dalla resistenza e sono frutto delle dure lezioni della Storia, come dovrebbe insegnarci il giorno della memoria.

E tuttavia questi valori sono un patrimonio di cui non ci possiamo spogliare. Sono la nostra ricchezza di cittadini, il nostro patrimonio, che la Costituzione ha conferito a ciascuno di noi per garantire la nostra libertà ed i nostri diritti.

La rottura dell’eguaglianza, presupposto inscindibile della fraternità, comporta un percorso di divisione e di discriminazione che coinvolge tutti e ci rende tutti più poveri e più deboli. Attraverso questo percorso si sviluppa l’aggressione al bene della scuola pubblica, che Calamandrei definiva la principale istituzione dell’eguaglianza, con la riduzione delle risorse, dei tempi e degli spazi della scuola pubblica. L’ aggressione al bene della dignità del lavoro, attraverso la precarizzazione crescente dei rapporti di lavoro e la demolizione delle garanzie e delle tutele giurisdizionali. L’aggressione al bene della libertà di comunicazione del pensiero, da ultimo, comprimendo anche la libertà della rete, come avviene con il decreto Romani che prevede misure restrittive la libertà di espressione sul web.

La Costituzione ha elevato uno sbarramento altissimo di congegni istituzionali per tenere diviso il potere giudiziario dagli altri poteri ed impedire alla politica di controllare l’esercizio della giurisdizione.

Tutti i tentativi che sono stati posti in essere per espugnare la cittadella dell’indipendenza del giudiziario finora sono stati infruttuosi. Non riuscendo a penetrare nel ridotto della giurisdizione per sottoporla al controllo del governante di turno, oggi si è deciso di aggredire l’esercizio della giurisdizione dall’esterno, mettendo della dinamite sotto il suo palazzo.
Proprio questo è il senso della riforma annunziata con la denominazione accattivante di processo breve. Questa riforma non interviene sui tempi del processo penale, interviene sulla giurisdizione introducendo dei rigidi tempi di decadenza all’esercizio della funzione giurisdizionale. E’ la funzione giurisdizionale che viene attaccata, restringendo la possibilità dei giudici di portare a compimento il controllo di legalità. In questo modo si riduce drasticamente l’area del controllo di legalità, a beneficio dei più ricchi, dei più furbi e di quelli che sono più pericolosi.

Che effetti avrà questa riduzione dello spazio del giudiziario nella nostra vita?

Soltanto qualche giorno fa, il 15 gennaio, la Cassazione ha posto fine al processo al c.d. clan dei casalesi, confermando le condanne inflitte ad un gruppo malavitoso le cui micidiali attività sono state descritte mirabilmente dallo scrittore Saviano.

Orbene, se fosse stata in vigore in passato la legge sul processo breve, né i casalesi, né i boss di cosa nostra, né gli assassini del capitano Basile, né gli assassini di Falcone e Borsellino e di tanti altri, vittime delle organizzazioni criminali, sarebbero stati assicurati alla giustizia. Dopo essere stati individuati e processati, questi personaggi sarebbero stati rimessi, tutti o quasi tutti, in libertà per la decadenza del potere dei giudici di giudicarli.

La giurisdizione, tanto nel penale quanto nel civile, è una funzione essenziale nel contratto sociale perchè serve a garantire la convivenza pacifica fra i cittadini. Se lo Stato rinunziasse alla giurisdizione penale, la violenza dilagherebbe e si sfalderebbe il contratto sociale.

Eppure questa è la strada che è stata imbroccata con il processo breve.

Il forsennato attacco alla Costituzione, che sta portando avanti la maggioranza politica guidata da Silvio Berlusconi, non altera soltanto la forma di governo e gli equilibri della democrazia, ma mette in gioco le basi stesse della convivenza pacifica. Un tempo drammatico è calato sul nostro paese. Prendendo in prestito le parole della canzone di Fausto Amodei, possiamo dire:

“Di nuovo come un tempo sopra l’Italia intera Fischia il vento, infuria la bufera”
Ma noi abbiamo una grande risorsa per resistere alla bufera. La Costituzione, beffeggiata, umiliata ed esiliata dal Palazzo, è ancora viva!! Il suo spirito circola fra la gente, è testimoniato da tanti giovani, anziani, pensionati, lavoratori, donne ed uomini, che si sono cercati ed incontrati in piazza il 5 dicembre e che oggi si incontrano, assieme a noi, in tante città d’Italia. Tutti insieme, nel nome della Costituzione, con questa trama, di sofferenze, di gioia, di speranza, di fede, ereditata dai nostri padri, lotteremo per impedire che il nostro paese torni ad essere schiacciato dallo stivale del dispotismo e che ritorni il disprezzo della dignità inviolabile di ogni uomo e di ogni donna. Per mantenere aperte le strade del nostro futuro alla dimensione della speranza.

Autore: Domenico Gallo

Nato ad Avellino l'1/1/1952, nel giugno del 1974 ha conseguito la laurea in Giurisprudenza all'Università di Napoli. Entrato in magistratura nel 1977, ha prestato servizio presso la Pretura di Milano, il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, la Pretura di Pescia e quella di Pistoia. Eletto Senatore nel 1994, ha svolto le funzioni di Segretario della Commissione Difesa nell'arco della XII legislatura, interessandosi anche di affari esteri, in particolare, del conflitto nella ex Jugoslavia. Al termine della legislatura, nel 1996 è rientrato in magistratura, assumendo le funzioni di magistrato civile presso il Tribunale di Roma. Dal 2007 al dicembre 2021 è stato in servizio presso la Corte di Cassazione con funzioni di Consigliere e poi di Presidente di Sezione. E’ stato attivo nel Comitato per il No alla riforma costituzionale Boschi/Renzi. Collabora con quotidiani e riviste ed è autore o coautore di alcuni libri, fra i quali Millenovecentonovantacinque – Cronache da Palazzo Madama ed oltre (Edizioni Associate, 1999), Salviamo la Costituzione (Chimienti, 2006), La dittatura della maggioranza (Chimienti, 2008), Da Sudditi a cittadini – il percorso della democrazia (Edizioni Gruppo Abele, 2013), 26 Madonne nere (Edizioni Delta Tre, 2019), il Mondo che verrà (edizioni Delta Tre, 2022)

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