Legge elettorale, i falsi miti del bipolarismo

L’intervento del prof. Andrea Morrone, presidente del Comitato referendario, su Micromega online del 31 gennaio, in risposta ad un mio intervento sui referendum elettorali, ci offre l’occasione preziosa di aprire un dibattito vero sulle riforme elettorali e di mettere a confronto le diverse opzioni politiche ed i loro fondamenti. Lungi dall’insistere in una polemica personale che non ha alcun costrutto, devo fare alcune precisazioni, per amore di chiarezza, sulle questioni sollevate nella sua risposta dal prof. Morrone, che, comunque, ringrazio.

Il prof. Morrone critica le argomentazioni contenute nella sentenza della Corte Costituzionale, richiamando un appello di un rilevante numero di costituzionalisti che hanno auspicato una decisione favorevole da parte della Corte Costituzionale, sostenendo che il referendum avrebbe ben potuto comportare una reviviscenza della legge Mattarella. Per questo conclude che io avrei sbagliato nell’argomentare che i promotori del referendum “erano perfettamente coscienti che i quesiti erano inammissibili, salvo un imprevedibile mutamento di rotta della Corte Costituzionale”.

Ebbene, la Corte Costituzionale, con una sentenza depositata il 26 gennaio 2011 (n. 28/2011), aveva statuito: “l’abrogazione, a seguito dell’eventuale accoglimento della proposta referendaria, di una disposizione abrogativa è, infatti, inidonea a rendere nuovamente operanti norme che, in virtù di quest’ultima, sono state già espunte dall’ordinamento (sentenza n. 31 del 2000)”.
Gli esperti, che hanno confezionato i quesiti presentati nell’estate dell’anno scorso, non potevano ignorare che a gennaio, la Corte, riconfermando un orientamento consolidato, aveva escluso la tesi che attraverso l’abrogazione per via di referendum si possano far rivivere norme abrogate.

Tutti gli organi giurisdizionali possono cambiare orientamento, ma le Supreme Corti sono generalmente restie a farlo, tanto meno a ricorrere ad una interpretazione creatrice o ad un “uso alternativo del diritto”. Pertanto i referendari erano perfettamente coscienti che i loro quesiti sarebbero stati ammessi soltanto se la Corte avesse effettuato un poco prevedibile mutamento di rotta, ma si sono ben guardati dal farlo sapere ai militanti che, generosamente, hanno profuso tempo ed energie nella raccolta delle firme.

Ha sbagliato la Corte Costituzionale? Nel dibattito teorico è possibile criticare e dissentire da qualsiasi argomentazione giuridica, ma è quanto minimo azzardato proporre una iniziativa politica che coinvolge milioni di persone confidando di far cambiare idea alla Consulta, con appelli e pressioni varie.
Quello che il prof. Morrone respinge con decisione è la lettura della contrapposizione della sua iniziativa con il referendum in precedenza proposto da un comitato presieduto da Stefano Passigli.

Invece la contrapposizione c’è stata e la proposizione del referendum Morrone indubbiamente è stata mirata a far fallire il referendum Passigli, che avrebbe portato ad un esito opposto a quello voluto dai promotori del secondo referendum. Ne ho le prove.
Sul sito del suo Comitato promotore del referendum elettorale, Passigli, il 29 luglio 2011, ha pubblicato questa lettera, che riporto testualmente:

“scrivo a nome del Comitato Promotore a tutti coloro che in risposta alla nostra iniziativa hanno dato vita a Comitati regionali e locali (..) per spiegare la decisione raggiunta nella riunione del Comitato Promotore di mercoledi 27 luglio di sospendere definitivamente la raccolta delle firme.
Abbiamo preso questa decisione a malincuore, alla luce delle condizioni che si sono venute a creare con l’annuncio da parte di Veltroni, Castagnetti e Parisi di voler dar vita ad un “controreferendum” per reintrodurre il Mattarellum, annuncio che ha trovato il sostegno di Di Pietro e di numerosi esponenti di SEL. Malgrado il permanere di un forte entusiasmo nella varie realtà locali, ciò ha provocato il venir meno dei sostegni organizzativi che ci erano stati assicurati a livello di organizzazione centrale. Malgrado il nostro tentativo di non dividere il fronte referendario dichiarando una moratoria nella raccolta delle firme ed invitando i sostenitori di questo secondo referendum ad una azione comune, gli stessi hanno ugualmente depositato i loro quesiti, dichiarando apertamente che la loro iniziativa era innanzi tutto intesa a fermare il nostro referendum. Poco importa che a nostro giudizio i loro quesiti non fossero in grado di superare il vaglio di ammissibilità della Corte Costituzionale e a far rivivere il Mattarellum. (…) Di fronte alla prospettiva di due referendum contrapposti destinati entrambe ad un probabile fallimento che avrebbe compromesso per sempre la possibilità di modificare in via referendaria la legge elettorale, il comitato promotore – considerata la disponibilità dei proponenti del secondo referendum di non procedere oltre con la loro iniziativa – a deciso di rinunziare alla raccolta delle firme. Se torneremo a votare con le liste bloccate e il premio di maggioranza, è bene che i cittadini sappiano che la responsabilità è interamente di quanti hanno dato vita ad un controreferendum puramente strumentale.”

Insomma Passigli ha sciolto il suo esercito e mandato a casa le truppe, avendo constatato che le due iniziative erano incompatibili e confidando – ingenuamente – sulla asserita disponibilità dei proponenti del secondo referendum a non procedere oltre.
Se non è contrapposizione questa, giudichino i lettori!
Ma lasciamo perdere i trucchetti e gli inganni propri di una politica politicante e veniamo al merito della questione per capire i termini di questa contrapposizione, che attraversano la natura ed il destino della democrazia costituzionale.

Il prof. Morrone sostiene che l’obiettivo principale della proposta referendaria è quello di restituire lo scettro ai cittadini e precisa che: “questo obiettivo si può realizzare con due chiari principi: 1) ripristinando il diritto costituzionale degli elettori di scegliere i propri rappresentanti, per ridare al Parlamento la dignità di una istituzione di uomini e donne liberi, perché eletti dal popolo, e non di “fedeli” scelti dai capibastone dentro le chiuse segreterie dei partiti; 2) rafforzando il potere del cittadino di scegliere, con i parlamentari, anche la maggioranza di governo, prima del voto e non dopo, come facciamo ormai dal 1994 ad oggi.” Aggiunge poi che “l’iniziativa referendaria ha raggiunto un risultato politico notevole e inconfutabile: dare voce al paese reale, che ha chiesto non solo di cancellare la ‘legge elettorale porcata’, ma anche, a chiare lettere, il consolidamento di una democrazia maggioritaria dell’alternanza. E’ ancora questo l’obiettivo che noi abbiamo davanti.”

Questo conferma che il vero obiettivo politico (che curiosamente viene presentato come un’aspirazione del paese reale) è quello di ottenere un “consolidamento della democrazia maggioritaria dell’alternanza”. Si tratta quindi di consolidare un assetto politico-istituzionale, quello della democrazia maggioritaria dell’alternanza (che sarebbe più esatto chiamare bipolarismo forzato), che esiste già e che è stato introdotto nel nostro sistema politico grazie alla legge Mattarella, la quale ha dato vita ad un sistema elettorale misto sostanzialmente maggioritario.

Guarda caso la c.d. “legge porcata”, che il referendum voleva cancellare, ha introdotto un sistema elettorale che va proprio nella direzione di rendere più incisiva la democrazia maggioritaria dell’alternanza, perché, attraverso il premio di maggioranza e la tagliola delle soglie di sbarramento variabili, ha eliminato dal Parlamento tutte le forze politiche non assimilate nell’uno o nell’altro polo ed ha consentito agli elettori di scegliersi la maggioranza da cui essere governati, rafforzando artificialmente questa maggioranza e rendendola invulnerabile persino alle scissioni.

Quindi il problema politico dei referendari non era quello di cancellare la “legge porcata”, ma di salvaguardare quel sistema elettorale che punta alla democrazia dell’alternanza, all’interno del quale si colloca la legge Calderoli. Cambiare dunque la legge elettorale, senza cambiare la filosofia del sistema di cui quella legge è espressione.
È questo il terreno sul quale dobbiamo registrare un dissenso insuperabile per le ragioni che vado a chiarire.
Le leggi elettorali, anche se non sono di rango costituzionale, concorrono a determinare la “costituzione materiale”, delineando la fisionomia del sistema politico, sia per quanto riguarda l’esercizio concreto della rappresentanza, sia per quanto riguarda la forma di governo.
Ed allora bisogna sgomberare il campo dalle suggestioni e dai falsi miti che hanno alimentato le varie campagne referendarie per il maggioritario, contribuendo a corrompere il senso comune.

Il primo requisito del sistema elettorale è che esso deve essere coerente con la Costituzione.
Nella democrazia costituzionale, fondata sulla partecipazione dei cittadini (non solo attraverso il voto), per concorrere (con metodo democratico, associandosi liberamente in partiti) a determinare la politica nazionale (art.49 Cost), le elezioni politiche generali non servono ad eleggere un Governo, né tanto meno il Capo del Governo, né a determinare quali forze politiche devono governare per l’arco di tutta la legislatura. Se così fosse, il popolo sovrano conterebbe un solo giorno e poi dovrebbe tacere per cinque anni.
Invece la democrazia non si esaurisce in un unico atto, compiuto ogni cinque anni, nel chiuso dell’urna, ma deve essere praticata ogni giorno. Nella democrazia costituzionale, il popolo deve continuare a concorrere a determinare la politica nazionale, anche dopo aver votato, e lo fa – di norma – attraverso i propri rappresentanti, che la Costituzione vuole liberi da ogni vincolo di mandato proprio perchè devono essere liberi di “rappresentare” in ogni momento le domande politiche ed i bisogni del popolo sovrano. Nella democrazia costituzionale c’è una osmosi continua fra i rappresentanti ed il popolo, che si sviluppa attraverso i canali dei partiti, dei mass-media, dei movimenti dei sindacati e delle associazioni di categoria.

Deve essere ripudiato, pertanto, come ingannevole e corruttore, il mito che ci ripropone in continuazione il ceto politico, secondo cui attraverso le elezioni i cittadini sono chiamati a scegliersi un Governo ed un Capo di Governo che non può più essere cambiato fino alle elezioni successive, per cui il sistema elettorale deve essere coerente con quest’obiettivo, orientando la scelta degli elettori all’investitura del Capo del Governo e della sua maggioranza, sulla base di un programma e di alleanze necessariamente precostituite.

E’ stato proprio Berlusconi con i suoi comportamenti a disvelare il carattere populistico, autoritario ed antiparlamentare di tale mito, che prefigura un ordinamento fondato sul fhurer-prinzip (il principio della supremazia del Capo politico sulle altre istituzioni) che la Costituzione italiana ha radicalmente ripudiato, destituendo i sovrani del passato e creando le condizioni per impedire che potessero ritornare nel nostro futuro nuovi Sovrani, sotto qualsiasi altra forma.

Anche la pretesa che le alleanze politiche si debbano necessariamente costruire prima delle elezioni per presentare agli elettori un programma comune e debbano restare cristallizzate per tutta la legislatura è una palese assurdità che ingessa il sistema politico, rendendo rigido ciò che la Costituzione ha voluto flessibile, proprio per consentire il regolare funzionamento degli organi rappresentativi, ai quali spetta anche la funzione di correggere o modificare quegli indirizzi politici o di governo che si dimostrassero inadeguati o pregiudizievoli per il bene del popolo italiano.

Del resto è un dato irrevocabile di esperienza che i programmi politici che i partiti presentano alle elezioni sono elaborati sulla base della mera ricerca del consenso con tecniche di marketing pubblicitario, coltivano delle illusioni o ispirano delle suggestioni, ma non dicono nulla sulle reali scelte politiche che i partiti porteranno avanti nel corso della legislatura. Quali programmi elettorali prevedevano le principali e più impegnative scelte politiche che sono state compiute negli ultimi 15 anni? In quale programma politico era contemplata la partecipazione italiana alla guerra condotta dalla NATO contro la Serbia nel 1999 per ottenere la separazione del Kossovo?
In quale programma politico era contemplato l’appoggio (e la partecipazione successiva) dell’Italia alla II guerra del Golfo nel 2003?
In quale programma politico era prevista l’emanazione di leggi ad-personam per rendere intoccabili una casta di uomini politici oppure l’abolizione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori e l’allungamento dell’età pensionabile a 69 anni?

Nell’esercizio del voto i poteri del cittadino elettore, secondo la Costituzione della Repubblica italiana, non consistono nella possibilità di scegliere da chi deve essere comandato, ma nella possibilità di scegliere delle persone che possano rappresentare nelle istituzioni le domande sociali, gli interessi, i bisogni e le esigenze che stanno a cuore al cittadino-elettore.
Il bipolarismo forzato che i sistemi maggioritari hanno prodotto, prima con il “mattarellum” e poi con il “porcellum”, oltre ad ingessare il sistema politico, impedendo per tutta la durata della legislatura qualsiasi correzione delle scelte dannose per il popolo italiano compiute dall’esecutivo, oltre a rendere molto più rissosa e selvaggia la competizione elettorale, perchè le maggioranze possono sopprimere le minoranze (come ha fatto Veltroni eliminando i comunisti i socialisti ed i verdi), in Italia presenta un ulteriore inconveniente, che si è rivelato esiziale per la tenuta della democrazia repubblicana.

Il bipolarismo, creato attraverso i meccanismi elettorali, comporta una sovrarappresentazione dell’aggregato politico maggioritario (un partito o una coalizione) allo scopo di rendere più stabile il governo. Questo diviene espressione di una maggioranza più forte e più compatta perchè impenetrabile a cambiamenti. In questo sistema, tutte le forze politiche sono costrette ad organizzarsi intorno a due poli. Ciò comporta l’espulsione dal sistema politico di quelle forze che non vogliono o non possono aggregarsi, con la correlativa inibizione a partecipare alla vita politica per quella parte di cittadini che esprimono domande politiche che non rientrano nello schema bipolare.

Pur con questi limiti che rendono asfittica la democrazia, lo schema bipolare potrebbe funzionare e le elezioni potrebbero sancire la non traumatica alternanza fra l’uno e l’altro polo, solo se entrambi gli schieramenti riconoscessero nella Costituzione la cornice insuperabile all’interno della quale sviluppare la loro azione politica.
Questo non accade in Italia dove uno dei due poli è formato da due partiti che potrebbero essere proclamati autenticamente incostituzionali (Allegretti 2011). L’uno, la Lega, essendo un partito di tipo protonazista, l’altro Forza Italia/Popolo della Libertà, essendo uno strumento creato da un’azienda, incapace di qualsiasi interpretazione del bene comune, a servizio di un capo politico che disprezza la legalità e le istituzioni della democrazia.

Il bipolarismo, introdotto prima dal “mattarellum” e poi confermato dal “porcellum”, ha conferito a questi due partiti una forza notevolmente superiore al consenso elettorale ottenuto dagli elettori, consentendo di sviluppare i loro progetti eversivi fino al punto da cambiare le regole del gioco ed introdurre una nuova Costituzione che, se non fosse stata annullata dal voto referendario nel 2006, avrebbe trasformato l’Italia in una Repubblica delle banane, rompendo persino l’unità nazionale.

Se la Costituzione ha retto, nelle sue linee portanti, a circa 10 anni di governo Berlusconi e la libertà è stata conservata, è stato determinato dal fatto che, malgrado i meccanismi bipolari, per un puro caso (o meglio per la lungimiranza dei Costituenti che hanno separato la sorte del Presidente da quella della legislatura), il Polo Bossi/Berlusconi non è riuscito ad impadronirsi dell’istituzione del Presidente della Repubblica e quindi non ha avuto la libera disponibilità dello strumento del decreto legge, attraverso il quale sarebbe stato fin troppo facile imbavagliare l”opposizione e smantellare il controllo di legalità, né ha potuto neutralizzare la Corte Costituzionale, utilizzando i poteri di nomina del Presidente.

Insistere nella riproposizione del bipolarismo forzato, come fanno coloro che hanno promosso il referendum elettorale Morrone/Parisi, è una perseveranza diabolica.
Concepire un sistema politico fondato sull’alternanza fra due poli, artificiosamente irrobustiti dai meccanismi elettorali, quando uno di questi due poli si pone irriducibilmente al di fuori della Costituzione, è un azzardo che può avere esiti disastrosi per la democrazia.

Autore: Domenico Gallo

Nato ad Avellino l'1/1/1952, nel giugno del 1974 ha conseguito la laurea in Giurisprudenza all'Università di Napoli. Entrato in magistratura nel 1977, ha prestato servizio presso la Pretura di Milano, il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, la Pretura di Pescia e quella di Pistoia. Eletto Senatore nel 1994, ha svolto le funzioni di Segretario della Commissione Difesa nell'arco della XII legislatura, interessandosi anche di affari esteri, in particolare, del conflitto nella ex Jugoslavia. Al termine della legislatura, nel 1996 è rientrato in magistratura, assumendo le funzioni di magistrato civile presso il Tribunale di Roma. Dal 2007 al dicembre 2021 è stato in servizio presso la Corte di Cassazione con funzioni di Consigliere e poi di Presidente di Sezione. E’ stato attivo nel Comitato per il No alla riforma costituzionale Boschi/Renzi. Collabora con quotidiani e riviste ed è autore o coautore di alcuni libri, fra i quali Millenovecentonovantacinque – Cronache da Palazzo Madama ed oltre (Edizioni Associate, 1999), Salviamo la Costituzione (Chimienti, 2006), La dittatura della maggioranza (Chimienti, 2008), Da Sudditi a cittadini – il percorso della democrazia (Edizioni Gruppo Abele, 2013), 26 Madonne nere (Edizioni Delta Tre, 2019), il Mondo che verrà (edizioni Delta Tre, 2022)

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