Give peace a chance

Invece di esultare per questa speranza di pace, l’annuncio del piano USA è stato accolto con rabbia e sgomento dalle Cancellerie dei principali paesi occidentali e dai vertici UE che hanno cominciato subito a remare contro.

Dopo quasi quattro anni di combattimenti ininterrotti, dopo centinaia di migliaia di morti e feriti da entrambe le parti, dopo incommensurabili devastazioni ambientali, dopo un’escalation irrefrenabile della violenza bellica, finalmente con l’annuncio del piano di pace in 28 punti proposto da Trump, si è aperta la possibilità di porre fine ad una catastrofe, politica, economica, umana, che ha portato l’Europa sull’orlo del baratro di una guerra suicida con la Russia. Invece di esultare per questa speranza di pace, l’annuncio del piano USA è stato accolto con rabbia e sgomento dalle Cancellerie dei principali paesi occidentali e dai vertici UE che hanno cominciato subito a remare contro.

Il 26 novembre la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen intervenendo alla plenaria di Strasburgo sul piano di pace in Ucraina ha detto: “Dobbiamo essere chiari sul fatto (..) che i confini non possono essere modificati con la forza (..) che non ci possono essere limiti alle forze armate ucraine”.

Dopo aver istigato per oltre tre anni l’Ucraina a combattere per recuperare manu militari i confini del 1991, è difficile riconoscere di aver sacrificato “la meglio gioventù” di questo sfortunato paese per consentire a Zelensky di perseguire un obiettivo impossibile ed insensato.  Insistere a non accettare una modifica dei confini – già in atto da oltre dieci anni- vuol dire rifiutarsi di porre fine al conflitto. E’ vero che i confini non devono essere modificati con la forza da agenti esterni (come è avvenuto per il Kosovo, che la NATO ha distaccato dalla Serbia) ma il discorso cambia quando i confini si modificano per vicende interne agli Stati come secessioni o guerre civili. A quel punto la modifica dei confini può essere una condizione imposta dalla necessità di ristabilire la pace. Pretendere di restituire all’Ucraina i suoi confini originari sarebbe come pretendere di ricostruire la Jugoslavia entro i confini del 1991. La Crimea si è resa indipendente dall’Ucraina e ha deciso di essere inserita nella Federazione russa per scelta del suo popolo il 16 marzo del 2014. Nel Donbass la popolazione russofona si è ribellata al governo instaurato a Kiev dopo il golpe di Maidan ed è iniziata una guerra civile che gli accordi di Minsk I (2014) e Minsk II (2015) non sono riusciti a spegnere.               

Il secondo ostacolo al processo di pace riguarda la resistenza alle limitazioni proposte alle forze armate ucraine.  Il punto in questione riguarda le garanzie di sicurezza per la Russia. E’ stata proprio la questione del riarmo, la programmata estensione della NATO e delle sue basi missilistiche in Ucraina, la causa profonda della guerra. Come dimostra il fatto che, prima di muovere le truppe, la Russia voleva trattare e la questione del non allargamento della NATO veniva presentata una condizione imprescindibile per non invadere l’Ucraina, come ha dichiarato Stoltenberg al Parlamento europeo il 7 settembre 2023.  La decisione dell’Unione Europea di inondare l’Ucraina di armamenti per trasformarla in un “porcospino d’acciaio” come auspicato da Ursula Von der Layen, è un ostacolo reale ad ogni negoziato di pace con la Russia. Pretendere di conseguire “la pace attraverso la forza”, com’è scritto nei documenti europei, non solo è un paradosso, ma lascia trasparire una concezione della pace come semplice tregua d’armi e la politica come uno strumento per proseguire la guerra con altri mezzi.

Il c.d. contropiano di pace europeo di cui si sta discutendo a Ginevra, insiste proprio su questi due punti che ostacolano il percorso di pace. Non accetta la neutralità di fatto dell’Ucraina e lascia aperta la porta all’ingresso della NATO e delle sue truppe in Ucraina. Non accetta alcuna modifica dei confini e pretende di continuare a considerare la Crimea ed il Donbass come territori ucraini occupati. Per di più pretende che la Russia sia obbligata, non a contribuire alla ricostruzione come prevede il piano americano, ma a risarcire i danni causati dalla guerra, condizione che normalmente viene imposta ai vinti ma è difficile concepire per i vincitori.

La controproposta europea non è un progetto di pace, bensì un progetto di tregua armata che congela i combattimenti ma conserva l’ostilità fra le due parti e la rende perenne. Infatti, la controproposta cancella il punto 20 della proposta USA che impegna entrambi i Paesi a implementare programmi educativi nelle scuole e nella società volti a promuovere la comprensione reciproca e la tolleranza. La prospettiva di una riconciliazione in futuro fra il popolo russo e quello ucraino non deve essere nemmeno contemplata perché nuocerebbe gravemente al sistema di guerra. Sarebbe difficile far accettare ai popoli europei il pacchetto “difesa omnibus” confezionato dalla Commissione UE in assenza di una minaccia permanente.

Adesso si stanno levando in alto i guaiti dei politici orfani di guerra che si dolgono di tradimento dell’Ucraina, denunciano un accordo capestro che impone la resa all’Ucraina, eccepiscono che il piano USA è una ricompensa per l’aggressione, che incoraggia ulteriori atti di aggressione da parte della Russia. A costoro vorremmo ricordare le parole di Papa Francesco nell’intervista alla televisione svizzera del 9 maggio 2024 sul coraggio della bandiera bianca: “credo che è più forte quello che vede la situazione, pensa al popolo e ha il coraggio della bandiera bianca e negoziare. (..) Quella parola negoziare è una parola coraggiosa. Quando tu vedi che sei sconfitto, che la cosa non va, avere il coraggio di negoziare. E ti vergogni, ma se tu continui così, quanti morti (ci saranno) poi? E finirà peggio ancora (..) Non avere vergogna di negoziare prima che la cosa sia peggio”.

Certamente il piano di pace proposto oggi sancisce delle condizioni più sfavorevoli per l’Ucraina di quelle negoziate ad Istambul nell’aprile del 2022, quando la guerra era appena iniziata e aveva prodotto solo qualche migliaio di morti. Avere spinto Zelensky a respingere quell’accordo istigando l’Ucraina a combattere sino alla vittoria per sconfiggere ed umiliare la Russia, si è rivelata un’opzione strategica disumana e catastrofica per il paese che si voleva difendere. Prima o poi le corrotte élite europee dovranno essere chiamate a rispondere di queste scelte necrofile e demenziali.

Adesso ostacolare o respingere l’accordo che è sul tavolo a Ginevra è sommamente irresponsabile perché l’alternativa non è la prosecuzione della guerra in corso, in quanto l’Ucraina non ha le risorse umane (cioè i soldati da mandare al massacro), ma l’intervento diretto di truppe dei paesi europei nel teatro di guerra. Non a caso il Capo di stato maggiore dell’esercito francese, il generale Fabien Mandon, ha dichiarato il 18 novembre che la Francia deve essere pronta “a perdere i suoi figli” nella guerra prossima ventura con la Russia. Proprio questo è quello che dobbiamo scongiurare se non vogliamo perdere anche i nostri figli.

Ci sono dei momenti in cui la Storia giunge ad un bivio, quando si presenta la possibilità di fare delle scelte che possono condurre in una determinata direzione oppure nella direzione opposta. Ci siamo trovati già due volte di fronte ad un bivio, la prima volta nel dicembre del 2021 quando la guerra si poteva evitare ancora, rinunciando ad espandere la NATO, la seconda volta nell’aprile del 2022, quando la guerra si poteva concludere con l’accordo negoziato ad Istambul. Adesso ci troviamo di nuovo dinanzi ad un bivio della Storia: o si pone termine al conflitto con un vero accordo di pace che apra la strada alla riconciliazione fra i Russi e gli Ucraini, fra l’Europa e la Russia, oppure si ostacola l’accordo e si fa sfumare questa possibilità con l’effetto di rafforzare la logica dell’ostilità e del riarmo fino allo scoppio della guerra con la Russia, già programmata per il 2030.

E’ una questione – è proprio il caso di dirlo – di vita o di morte.

Autore: Domenico Gallo

Nato ad Avellino l'1/1/1952, nel giugno del 1974 ha conseguito la laurea in Giurisprudenza all'Università di Napoli. Entrato in magistratura nel 1977, ha prestato servizio presso la Pretura di Milano, il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, la Pretura di Pescia e quella di Pistoia. Eletto Senatore nel 1994, ha svolto le funzioni di Segretario della Commissione Difesa nell'arco della XII legislatura, interessandosi anche di affari esteri, in particolare, del conflitto nella ex Jugoslavia. Al termine della legislatura, nel 1996 è rientrato in magistratura, assumendo le funzioni di magistrato civile presso il Tribunale di Roma. Dal 2007 al dicembre 2021 è stato in servizio presso la Corte di Cassazione con funzioni di Consigliere e poi di Presidente di Sezione. E’ stato attivo nel Comitato per il No alla riforma costituzionale Boschi/Renzi. Collabora con quotidiani e riviste ed è autore o coautore di alcuni libri, fra i quali Millenovecentonovantacinque – Cronache da Palazzo Madama ed oltre (Edizioni Associate, 1999), Salviamo la Costituzione (Chimienti, 2006), La dittatura della maggioranza (Chimienti, 2008), Da Sudditi a cittadini – il percorso della democrazia (Edizioni Gruppo Abele, 2013), 26 Madonne nere (Edizioni Delta Tre, 2019), il Mondo che verrà (edizioni Delta Tre, 2022)

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