Riflessioni sulla questione elettorale

1. Il discorso sul sistema elettorale: necessità di un primo bilancio dell’esperienza del maggioritario.
Ad oltre quattro anni di distanza dall’introduzione, a seguito del Referendum del 18 aprile 1993, di un sistema elettorale prevalentemente maggioritario e dopo lo svolgimento di due turni elettorali, è possibile fare un bilancio degli effetti e dei risultati concreti prodotti nell’ordinamento politico dal nuovo sistema elettorale. L’esperienza concreta consente di sottoporre alla verifica della realtà le impostazioni ed i miti che sono stati associati all’introduzione del maggioritario. D’altro canto il discorso sul sistema elettorale e quindi sulle forme e qualità della rappresentanza è un discorso sullo snodo fondamentale attraverso il quale trova attuazione nell’ordinamento il principio democratico, che attribuisce la sovranità al popolo. E’ un discorso sulla cittadinanza, in quanto ha un riflesso immediato e diretto sui diritti di partecipazione, cioè sulla possibilità dei cittadini di partecipare politicamente alla elaborazione ed alla specificazione dello “status” di cittadino.
Non è quindi possibile affrontare il discorso della riforma, sfuggendo o oscurando i nodi “politici” sottesi ad ogni sistema elettorale.

2. Obiettivi, pregi, difetti e costi di ogni riforma elettorale.
Quando si discute di riforma elettorale, bisogna mettere in chiaro quali sono i valori ai quali ci si ispira e gli obiettivi che si vogliono realizzare, valutare i risultati diretti ed indiretti prodotti dal nuovo sistema e verificarne i costi.
Bisogna sfuggire al vizio della politica “moderna” di proporre un percorso con richiamo a miti o suggestioni autolegittimanti. Coloro che propongono la superiorità di un modello maggioritario basato sul doppio turno di collegio, o di qualche altra forma di sistema maggioritario collegata all’elezione diretta del leader, dovrebbero chiarire bene quali sono gli obiettivi che tale riforma dovrebbe realizzare e quali siano i valori di riferimento ovvero i costi che occorre pagare in termini di sacrificio di beni o valori giuridici.

3. I miti del maggioritario.
Una lettura disincantata degli eventi politici ed istituzionali associati all’introduzione del nuovo sistema elettorale prevalentemente maggioritario, consente di demolire i miti più suggestivi avanzati a legittimazione del maggioritario.
3.1. Mito n.° 1: Il maggioritario favorisce il bipolarismo diminuendo il numero dei partiti.
La realtà è sotto gli occhi di tutti.
La proliferazione di partiti e partitini, le scissioni e le riaggregazioni, dimostrano che il mito della riduzione dei partiti è stato completamente demolito dalla realtà. In effetti il maggioritario non riduce il numero dei partiti, bensì riduce il pluralismo perchè tende a ridurre a due o tre i soggetti che possono utilmente competere per la conquista del collegio uninominale. Il Collegio uninominale maggioritario comporta una forte riduzione del pluralismo politico, a cui corrisponde una pari riduzione della possibilità di scelta degli elettori, con la conseguenza che si determina una diminuzione della rappresentatività degli eletti ed uno svuotamente del ruolo di quei corpi sociali (partiti a base popolare) attraverso i quali in passato è stata costruita la partecipazione politica. E’ proprio la rottura del collegamento fra gli eletti ed i corpi sociali organizzati (assieme alle modalità attuali del finanziamento politico) che determina la crescita del numero dei partiti. Per creare nuovi partiti non c’è più bisogno di un corpo sociale di militanti, basta un consenso virtuale sulla base dei sondaggi, come avviene nel caso del partito Di Pietro, oppure non c’è bisogno nemmeno del consenso virtuale, essendo sufficiente il consenso dei poteri reali, come avviene nel caso dell’UDR.
3.2. Mito n.° 2: il Maggioritario avvicina l’eletto agli elettori riducendo il ruolo di potere delle burocrazie di partito.
La realtà ha smentito l’aspettativa che il Collegio uninominale maggioritario avrebbe creato un rapporto più diretto fra eletti ed elettori. Non è un caso che in nessun collegio si siano svolte le c.d. “primarie” per consentire ai cittadini di scegliere il candidato. In realtà l’esigenza di salvaguardare il pluralismo, associando sotto lo stesso simbolo il maggior numero di componenti politico-culturali ovvero di recuperare elettori di partiti non compleamente coalizzati (come è stato il caso della desistenza fra Rifondazione e l’Ulivo), ha inevitabilmente comportato una estrema centralizzazione delle decisioni, che sono state sottratte anche agli organi “democratici” dei partiti e confinate nella mani di una ristrettissima oligarchia. Ciò ha favorito l’ulteriore distacco della rappresentanza dai corpi sociali organizzati ed ha comportato un crescente peso delle componenti politiche “virtuali”, fondate sulla capacità di accesso o di controllo al sistema dei media, di cui si sono ben resi conto gli elettori, demotivati e costretti spesso a votare candidati indigeribili.
3.3. Mito n.° 3. Il Maggioritario demolisce i partiti.
L’instaurazione del maggioritario, nel contesto della lotta per le riforme ed, in particolare per il Presidenzialismo, è stata concepita come “lotta contro i partiti”. In realtà la crisi del partito politico come corpo sociale intermedio che organizza la partecipazione dei cittadini alla vita politica viene da lontano ed ha cause profonde. Non v’è dubbio, però, che il maggioritario ha comportato una accellerazione di questa crisi e della mutazione in corso del partito politico a base popolare da corpo sociale organizzato a partito d’opinione. Il partito politico di sinistra è diventato sempre più “leggero”. Il numero degli iscritti si è fortemente ridotto, il tasso di partecipazione dei militanti si è ridotto quasi a zero. D’altro canto i leaders non hanno più bisogno di un corpo sociale di militanti per far conoscere le proprie opinioni ed istanze politiche, nè hanno bisogno del supporto dei militanti per la competizione elettorale, che viene organizzata e si sviluppa secondo le regole del marketing pubblicitario. Si sta così attuando un congedo delle classi popolari dalla politica, ridotta ad una gara di opinioni e di potere, con molti spettatori e sempre meno protagonisti.Questa evoluzione, ovviamente, non dipende soltanto dal maggioritario, ma non v’è dubbio che il carattere maggiormente oligarchico di questo sistema la favorisce. In questo senso l’aspettativa di taluni che il maggioritario demolisse il sistema dei partiti – canali di partecipazion popolare – si è dimostrata fondata. Si tratta di capire a chi giova.

4. Il problema del pluralismo e delle coalizioni.
Non v’è dubbio che l’ulteriore trasformazione del sistema elettorale verso un sistema maggioritario assoluto comporta una riduzione o una riorganizzazione del pluralismo politico-culturale oggi esistente, che difficilmente potrebbe essere compresso al punto da annullarlo. Nel manifesto del c.d. movimento dei Sindaci, “centocittà”, si prende posizione sul problema in questo modo: “siamo convinti che sia necessario superare l’attuale frammentazione della politica nazionale, evitare il ritorno indietro ad un “terzo polo” e riunire in una formazione moderna, in base al sistema maggioritario uninominale ed all’elezione diretta del Capo dell’Esecutivo, tutte le componenti riformatrici e democratiche e i soggetti territoriali promotori di innovazione, libertà e responsabilità pubblica. ..Per questo occorre concepire e far nascere il partito democratico, nuova forza riformatrice capace di aggregare la maggioranza dei cittadini e degli elettori intorno ad un progetto politico che rinnovi la società italiana.” In questo contesto vi è un collegamento diretto fra l’instaurazione di un sistema completamente maggioritario e la nascita di un partito unico dell’area di centro sinistra, a cui dovrebbe specularmente corrispondere un partito unico (almeno sul piano elettorale) dell’area di centro destra. Il collegamento nasce dal fatto che le due cose si sostengono a vicenda. Soltanto un sistema completamente maggioritario può aggregare le varie componenti politiche riformatrici e democratiche in un partito unico, mentre un partito unico per esistere, ed evitare di essere sfaldato dalla concorrenza di altri partiti, ha bisogno di un sistema maggioritario puro che gli consenta una rendita di posizione. Nello stesso manifesto si dichiara che “le diversità sono una risorsa da valorizzare, e che la politica italiana non può appiattire, omologare, subordinare.”
Da ciò ne consegue che il partito unico dovrebbe assorbire ed inglobare in sè stesso il pluralismo delle differenti opzioni politico-culturali presenti nell’area di centro sinistra.
Come saranno assemblate queste differenti identità e come si farà a stabilire la percentuale di verde, di rosso, di rosa e di bianco che dovrà essere presente nella coalizione nella rappresentanza? E’ evidente che il criterio di associazione delle varie componenti non sarà determinato dagli elettori, ai quali, per le esigenze proprie del sistema maggioritario, sarà presentato il prodotto finito. Il criterio di aggregazione delle diverse componenti sarà un problema delle elites dirigenti. Le diverse identità saranno in qualche modo composte ed omogeneizzate. Come sembre accade in questi casi, ci sarà una forza centripeta, in base alla quale si aggrega, ed una forza centrifuga, in base alla quale si scartano gli elementi non validamente aggregabili. Gli elementi scartati saranno messi fuori dal sistema politico, assieme agli elementi non aggregabili, grazie al sistema maggioritario che impedirà loro qualsiasi forma di accesso alle istituzioni politiche. Il risultato finale sarà proprio quello di appiattire, omologare e subordinare le diversità, anche se a taluni non piace.

5. Principi regolatori, fini, obiettivi e costi di ogni riforma elettorale.
Prima di addentrarsi nelle scelte tecniche, occorre avviare una discussione sui principi regolatori che dovrebbero informare la riforma, mettere a fuoco la diverse opzioni in campo e le ragioni che le giustificano, verificare se c’è accordo sugli obiettivi, discuterli pubblicamente, valutare i costi ed analizzarli, rifuggendo da suggestioni o miti autolegittimanti. Occorre analizzare vari fattori: bisogna domandarsi se la riforma deve stimolare la partecipazione degli elettori al voto o scoraggiarla, se deve ridurre il pluralismo politico, e fino a che punto sia utile o possibile comprimere il pluralismo, se la riforma deve essere tendenzialmente inclusiva (cioè capace di assicurare nelle istituzioni la rappresentazione del conflitto economico e sociale e dei bisogni diffusi) o deve, invece, essere tendenzialmente esclusiva (cioè favorente l’esclusione dal sistema politico-istituzionale delle minoranze e dei soggetti portatori di istanze non aggregate nelle coalizioni, ancorchè diffuse, e delle relative domande sociali). In questo caso bisogna verificare fino a che punto sia compatibile con i caratteri del sistema democratico l’esclusione delle minoranze e la correlativa sovrarappresentazione delle forze di maggioranza (assoluta o relativa), anche in considerazione della necessità o opportunità di salvaguardare il carattere rigido della Costituzione.
Il dibattito politico in corso e la stessa scadenza del Referendum rendono conto dello spessore politico e della centralità della questione elettorale.Quello che non è accettabile è che il confronto fra le diverse ipotesi in campo avvenga in modo poco trasparente o sia confinato esclusivamente su tavoli tecnici. Proprio per questo proponiamo che si apra un ampio dibattito politico sui principi regolatori che devono ispirare la riforma elettorale, che ogni forza politica dichiari quali obiettivi devono essere perseguiti, con quali costi e strumenti, che le proposte in campo siano sottoposte ad una ampia consultazione di base ed alla verifica delle Università e della cultura giuridica.

6. Ritorno al Proporzionale: non è più un tabù.
Se si accetta un metodo di discussione “laico”, allora non deve apparire un tabù la proposta di un ritorno al proporzionale, in una versione corretta ed adeguata all’esigenza di favorire la governabilità e scoraggiare la eccessiva o artificiale frantumazione del corpo sociale. Parlare di ritorno al proporzionale non deve essere più un tabù perchè l’esperienza politico-istituzionale vissuta dopo il referendum del 18 aprile 1993 ha dimostrato che le aspettative ed i benefici associati all’introduzione del maggioritario, da una campagna evocatoria di palingenesi politica, si sono dimostrati in larga misura illusori. La stessa adesione, sotto il profilo della raccolta delle firme, al Referendum Di Piero/Segni dimostra – paradossalmente – la diffusa insoddisfazione popolare per la mancata realizzazione dei miti promessi del maggioritario, primo fra tutti quello del maggiore potere degli elettori.. Non deve essere, pertanto, più un tabù riproporre, in una nuova versione, il ritorno al proporzionale, così come non è più un tabù la riproposizione – in sede parlamentare e fra gli obiettivi del Governo – della proposta di abolizione dell’ergastolo, sebbene tale proposta sia stata bocciata alcuni anni fa dal corpo elettorale con un referendum. La politica, di nuovo, deve assumersi il compito di fare tesoro dell’esperienza e di articolare proposte e soluzioni coerenti con i valori democratici delle forze politiche che li assumono e liberarsi dei condizionamenti della demagogia. Per questo, a fronte dell’imperversare del Referendum, e del rilancio di una nuova campagna integralistica per il maggioritario assoluto, è realistico e doveroso opporre una proposta politica di ritorno – in linea di principio – al proporzionale, lasciando aperto il confronto sulle tecniche e modalità specifiche (premio per la formazione delle maggioranze e clausola minima di ingresso) che consentano di riscrivere una nuova versione del proporzionale che coniughi virtuosamente le esigenze di rappresentatività e cittadinanza con quelle di coesione sociale e stabilità politica.

Autore: Domenico Gallo

Nato ad Avellino l'1/1/1952, nel giugno del 1974 ha conseguito la laurea in Giurisprudenza all'Università di Napoli. Entrato in magistratura nel 1977, ha prestato servizio presso la Pretura di Milano, il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, la Pretura di Pescia e quella di Pistoia. Eletto Senatore nel 1994, ha svolto le funzioni di Segretario della Commissione Difesa nell'arco della XII legislatura, interessandosi anche di affari esteri, in particolare, del conflitto nella ex Jugoslavia. Al termine della legislatura, nel 1996 è rientrato in magistratura, assumendo le funzioni di magistrato civile presso il Tribunale di Roma. Dal 2007 al dicembre 2021 è stato in servizio presso la Corte di Cassazione con funzioni di Consigliere e poi di Presidente di Sezione. E’ stato attivo nel Comitato per il No alla riforma costituzionale Boschi/Renzi. Collabora con quotidiani e riviste ed è autore o coautore di alcuni libri, fra i quali Millenovecentonovantacinque – Cronache da Palazzo Madama ed oltre (Edizioni Associate, 1999), Salviamo la Costituzione (Chimienti, 2006), La dittatura della maggioranza (Chimienti, 2008), Da Sudditi a cittadini – il percorso della democrazia (Edizioni Gruppo Abele, 2013), 26 Madonne nere (Edizioni Delta Tre, 2019), il Mondo che verrà (edizioni Delta Tre, 2022)

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