Una Costituzione per l’oligarchia

La Costituzione della Repubblica italiana fu approvata dall’Assemblea costituente il 22 dicembre 1947, con 458 voti favorevoli e 62 contrari. I deputati dell’Assemblea costituente furono eletti con sistema proporzionale, rappresentavano tutte le componenti politiche sociali e culturali presenti nel popolo italiano e vararono la Costituzione con un accordo quasi unanime. Si trattava di edificare le mura della casa comune per unire il popolo italiano e trasformarlo in una comunità politica unita da un destino comune. La nuova Costituzione fu scritta ad iniziativa e ad impulso esclusivamente del Parlamento, senza che il Governo potesse mettervi becco. Quando l’Assemblea Costituente discuteva del progetto della Costituzione, i banchi del Governo rimanevano vuoti. Tutto il contrario di quello che è successo questa settimana con l’approvazione della revisione costituzionale. Quando Renzi si è presentato in Parlamento l’11 aprile per concludere la discussione finale sulla sua nuova Costituzione, i banchi del Parlamento erano vuoti, mentre il banco del Governo era strapieno. Questo dovrebbe far riflettere sulla totale delegittimazione politica del percorso che ha portato una maggioranza risicata, frutto di un Parlamento eletto con una legge maggioritaria dichiarata incostituzionale, ad approvare sotto dettatura dell’esecutivo la più pesante riforma della Costituzione della storia repubblicana. La Costituzione è un bene comune: la sua riforma dovrebbe fiorire da un dibattito collettivo, aperto e condiviso perché in essa sono scolpite le basi della convivenza civile. Le Costituzioni si modificano infatti con assemblee costituenti, in ogni caso con Parlamentari eletti con sistemi proporzionali a seguito della più ampia condivisione tra le forze politiche. Le Costituzioni sono fatte per unire un popolo, per questo non possono essere imposte da una minoranza faziosa ed arrogante.

La Costituzione italiana ha unito il popolo italiano costituendolo in comunità politica che si riconosce in un destino comune. Quel destino che i padri costituenti vollero garantire alle generazioni future, ancorandolo ad una serie di beni pubblici repubblicani, quali: l’eguaglianza, la pace, il pluralismo, l’istruzione, la solidarietà sociale, la salubrità dell’ambiente, la dignità del lavoro, che sono tutt’ora di straordinaria attualità anche se da molti anni languono nei palazzi della politica, quando non sono apertamente ripudiati.

Il popolo italiano è rimasto unito anche quando si sono verificate drammatiche rotture storiche, come la guerra fredda, proprio grazie alla Costituzione. E’ la Costituzione che ha impedito che la guerra fredda ci trascinasse nella tragedia della guerra civile, com’è avvenuto in altri Paesi. E’ la Costituzione che, attraverso l’indipendenza della magistratura, ci ha salvato da sbocchi autoritari ed ha tenuto unito il popolo italiano nelle drammatiche contingenze della strategia della tensione e del terrorismo. Adesso che, per le vicende della globalizzazione e delle crisi politiche del dopo 89, si sono sfaldate le grandi organizzazioni di coesione sociale, come i sindacati, i partiti e le associazioni di massa, nella società liquida in cui l’individualismo trionfa perché imposto dal mercato, la Costituzione è l’unico baluardo che mantiene l’unità del popolo italiano, che ci consente di essere ancora un comunità politica unita da un destino comune in cui tutti possiamo riconoscerci.

Da domani, se la nuova Costituzione di Renzi e Boschi sarà confermata dal referendum, le istituzioni non saranno più la casa comune del popolo italiano. Già adesso non godono di buona salute perchè le leggi elettorali hanno prosciugato i canali di collegamento fra il Parlamento e la società, fra la società civile e la società politica, che si è resa autonoma dal popolo sovrano ed è diventata autoreferenziale, manomettendo i meccanismi della rappresentanza politica. Una crisi profonda testimoniata, a tacer d’altro, dalla totale perdita di fiducia degli italiani nei partiti politici (3%) e nel Parlamento (8%).

Solo che per curare la malattia ci viene proposto di uccidere il malato. La cura proposta con questa riforma è peggiore del male. Niente chiacchere, niente dibattiti, nessuna mediazione politica. Per legge (italicum) un solo partito deve comandare, controllando la maggioranza della Camera politica ed il Governo, non importa se espressione di una minoranza di elettori. Quest’unico partito che non è un intellettuale collettivo ma una struttura di potere controllata da una o pochissime persone (il capo politico ed il suo cerchio magico), deve governare senza contrappesi e senza dialogare con nessuno. Il Parlamento non sarà più un luogo di raccordo di mediazione e di sintesi del pluralismo sociale. Questo comporterà la rottura dell’unità del popolo italiano perché le formazioni sociali nelle quali si articola il pluralismo del popolo italiano non avranno più un luogo istituzionale nel quale le domande ed i bisogni collettivi possano essere filtrati e composti. E’ vero che ci saranno ancora le elezioni politiche, ma non serviranno per consentire ai cittadini di concorrere con metodo democratico alla determinazione della politica nazionale, come pretende l’art. 49 della Costituzione, bensì saranno lo strumento in base al quale singoli individui otterranno il potere di decidere attraverso una competizione che ha per oggetto il voto popolare, ed è irrilevante che siano prescelti da una minoranza di elettori.

Quello che si sta realizzando è un caso veramente straordinario, la sostituzione di una Costituzione, espressione della sovranità popolare al più alto livello in un momento decisivo della storia patria, con una Costituzione imposta da una minoranza, per consolidare e stabilizzare un potere di minoranza, cioè un sistema di oligarchia. Abbiamo già sperimentato nel secolo scorso un sistema politico che i costituzionalisti dell’epoca definirono come “Governo del Primo Ministro”, in cui il Governo era affidato ad un partito unico che – per legge – aveva il controllo del Parlamento. Sappiamo tutti com’è andata a finire.

Autore: Domenico Gallo

Nato ad Avellino l'1/1/1952, nel giugno del 1974 ha conseguito la laurea in Giurisprudenza all'Università di Napoli. Entrato in magistratura nel 1977, ha prestato servizio presso la Pretura di Milano, il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, la Pretura di Pescia e quella di Pistoia. Eletto Senatore nel 1994, ha svolto le funzioni di Segretario della Commissione Difesa nell'arco della XII legislatura, interessandosi anche di affari esteri, in particolare, del conflitto nella ex Jugoslavia. Al termine della legislatura, nel 1996 è rientrato in magistratura, assumendo le funzioni di magistrato civile presso il Tribunale di Roma. Dal 2007 al dicembre 2021 è stato in servizio presso la Corte di Cassazione con funzioni di Consigliere e poi di Presidente di Sezione. E’ stato attivo nel Comitato per il No alla riforma costituzionale Boschi/Renzi. Collabora con quotidiani e riviste ed è autore o coautore di alcuni libri, fra i quali Millenovecentonovantacinque – Cronache da Palazzo Madama ed oltre (Edizioni Associate, 1999), Salviamo la Costituzione (Chimienti, 2006), La dittatura della maggioranza (Chimienti, 2008), Da Sudditi a cittadini – il percorso della democrazia (Edizioni Gruppo Abele, 2013), 26 Madonne nere (Edizioni Delta Tre, 2019), il Mondo che verrà (edizioni Delta Tre, 2022)

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