Parigi brucia? è il titolo del film di René Clément, uscito nel 1966 e ispirato alla richiesta di Hitler che aveva ordinato al generale Dietrich von Choltitz (comandante della guarnigione di Parigi) di distruggere la città prima di ritirarsi. Com’è noto, grazie all’azione combinata della Resistenza francese, delle Forze Francesi Libere e degli Alleati e alla titubanza dello stesso generale nazista, Parigi riuscì a insorgere e liberarsi quasi intatta. Oggi lo stesso progetto di distruzione e di morte viene attuato nei confronti della città di Gaza con la differenza che non c’è più il punto interrogativo. Il ministro della Difesa, Israel Katz, aveva già promesso, il 22 agosto, che a Gaza “si apriranno le porte dell’inferno”. A differenza di quelli italiani, i politici israeliani mantengono sempre le loro promesse: le porte dell’inferno effettivamente si sono aperte e il 16 settembre Katz ha potuto dichiarare con orgoglio: “Gaza sta bruciando”, confessando con impudenza il suo crimine.
Ha scritto Paola Caridi: “Lo stato di Israele sta distruggendo una delle città fondative del Mediterraneo, fino all’ultima casa e palazzo, parco giochi e viale, edificio pubblico e resti archeologici, all’ultima tenda, all’ultimo respiro. Sta distruggendo Gaza. Ed è come distruggere Atene e Algeri, Beirut e Roma, Palermo e Granada.”
Più indietro nel tempo, il tema della distruzione delle città era stato affrontato da Giorgio La Pira in un celebre discorso al Comitato Internazionale della Croce Rossa a Ginevra (12/4/1954): “Le città hanno una vita propria: hanno un loro proprio essere misterioso e profondo: hanno un loro volto: hanno, per così dire una loro anima ed un loro destino (..) Nessuno, senza commettere un crimine irreparabile contro l’intera famiglia umana, può condannare a morte una città.”
Nello stesso giorno in cui Katz si vantava dei suoi trionfi, a Ginevra veniva presentato il rapporto della Commissione d’inchiesta del Consiglio Onu dei Diritti umani (analisi della condotta di Israele alla luce della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio). Nella sua indagine la Commissione ha descritto con maggiore spessore analitico e confermato le condotte genocidiarie di Israele, già denunciate in precedenti rapporti della relatrice speciale Francesca Albanese, di Amnesty International, della israeliana B’Tselem e di autorevoli studiosi dell’Olocausto come Amos Goldberg.
Il valore aggiunto di questo rapporto deriva dalla autorevolezza della fonte, che interpella tutti i membri dell’Onu e richiama gli Stati alla loro responsabilità di fronte alle obbligazioni che nascono dalla Convenzione per la prevenzione e repressione del genocidio. Questo rapporto smaschera l’ipocrisia dei governi che fanno finta di non vedere e nascondono sotto il tappeto le denunce delle organizzazioni per i diritti umani. Per il governo italiano questo rapporto vale come una sorta di notifica ufficiale del fatto che a Gaza Israele stia consumando un genocidio, una parola che ha un denso significato giuridico dal quale derivano delle conseguenze legali.
Di fronte alla “notifica” dell’Onu che a Gaza c’è un genocidio in corso, Giorgia Meloni, il 17 settembre ad Ancona, ha criticato la distruzione di Gaza City da parte di Israele, definendola una scelta “decisamente sproporzionata” e sottolineando che l’Italia “non può condividere” tale decisione.
Bisogna che qualcuno spieghi a Giorgia Meloni che l’Italia ha aderito nel 1952 alla Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio fatta a New York il 9 dicembre 1948 e da allora è vincolata alla cooperazione internazionale “necessaria per liberare l’umanità da un flagello così odioso”. L’art. 1 della Convenzione impegna le parti non solo a punire il genocidio ma a prevenirlo, cioè a impedire che il genocidio venga compiuto. Quali sono gli obblighi che gravano sugli Stati terzi (come l’Italia) per impedire la prosecuzione del genocidio nella Striscia di Gaza? Il rapporto della Commissione Onu ce li indica in modo specifico: “Cessare il trasferimento di armi e altre attrezzature o articoli, compreso il carburante per aerei, allo Stato di Israele (…) Facilitare le indagini e i procedimenti interni e intraprendere azioni (inclusa l’imposizione di sanzioni) contro lo Stato di Israele e contro individui o società che sono coinvolti o facilitano la commissione di genocidio o l’incitamento a commettere genocidio; cooperare con le indagini dell’Ufficio del procuratore della Corte penale internazionale”.
È vero che questo governo mostra un’insofferenza esistenziale per i vincoli del diritto, specialmente quando sono richiamati dalle giurisdizioni nazionali, comunitarie o internazionali, però svincolarsi dal rispetto degli obblighi nascenti dalla Convenzione internazionale sul genocidio è un azzardo estremo. Giorgia Meloni non può limitarsi a dire di non essere d’accordo con le atrocità compiute da Israele perché “sproporzionate”. Deve spiegare per quale motivo l’Italia si senta svincolata dall’obbligazione di fare quanto in suo potere per fermare il genocidio. Oltretutto la Convenzione punisce anche la complicità con il genocidio. La fornitura di armi e il rifiuto di interrompere la collaborazione militare con Israele sancita dal Memorandum d’intesa in materia di cooperazione nel settore militare e della difesa sono una forma di agevolazione del genocidio. Un giorno la storia ci giudicherà.
(Una versione ridotta di questo articolo è stata pubblicata sul Fatto quotidiano del 25 settembre con il titolo: Gaza brucia e il governo non “può”, ma “deve” agire)
Grazie Mimmo. Articolo sintetico e fortissimo!!!