Coronavirus: la vittoria mutilata?

La pandemia da Covid-19 ha ripreso vigore e ha steso di nuovo il suo nero mantello sui paesi europei. In Italia abbiamo assistito ad un improvviso impennarsi della curva dei contagi, che sono raddoppiati ogni 7/10 giorni, passando da circa 5.000 contagi giornalieri il 12 ottobre a circa 10.000 il 20 ottobre, superando la soglia dei 25.000 il 28 ottobre, mentre i decessi giornalieri hanno superato quota 200 ed i ricoveri in terapia intensiva sono passati da 358 (l’8 ottobre) a 1536 (il 28 ottobre). In altri paesi europei le cose vanno ancora peggio ed in Francia, quando si è raggiunta la soglia di 70.000 contagi giornalieri, il Presidente Macron, ha annunciato il ritorno al lockdown su tutto il territorio nazionale (escludendo le scuole) fino al 1° dicembre. Nello stesso giorno la Merkel ha annunciato pesanti misure restrittive in Germania, che prevedono la chiusura per quattro settimane di tutti i locali pubblici, palestre, piscine, cinema, teatri.

Siamo in presenza di una seconda ondata che – come ha riconosciuto Macron – sarà più dura e più letale della prima. C’è il rischio di avere centinaia di migliaia di morti se non si riesce a rallentare la corsa dell’epidemia.

E’ un lutto che ritorna, più aggressivo di prima, e colpisce in profondità tutti gli aspetti della vita sociale; impatta sull’economia e rende di nuovo oscuro il futuro alle imprese e ai lavoratori già stremati dal lockdown di marzo/aprile; impatta sulla socialità, sfaldando i legami sociali e le relazioni personali; impatta sulla psicologia delle persone costrette a chiudersi sempre più in sé stesse; impatta sulla nuda vita con l’aumento esponenziale dei malati e delle vittime e l’affollamento degli ospedali, che presto potrebbero non reggere più l’urto della pandemia.

E’ un evento luttuoso in sé stesso, che produce uno strascico di lutti che, sotto vari aspetti e con differenti livelli di gravità, colpiscono un po’ tutti. Si tratta di una situazione, meno cruenta, ma simile ad una guerra, un evento totalizzante che impatta sui singoli e sulla società nel suo insieme.

Di fronte ad una minaccia così grave ogni società dovrebbe compattarsi, sviluppare il massimo della solidarietà, incrementare, attraverso la coesione, la capacità di resistenza al dolore.

Invece gli eventi degli ultimi giorni dimostrano che nel nostro paese, a fronte dell’avanzata della pandemia, si sono create delle linee di frattura che una politica miserabile cerca di allargare per guadagnare consenso cavalcando il lutto.

Quando il 25 ottobre è stato pubblicato il terzo DPCM di ottobre che ha disposto la chiusura di cinema, teatri, palestre, piscine e centri benessere ed ha introdotto pesanti restrizioni orarie per bar e ristoranti (prevedendone la chiusura alle 18), nella stessa notte di domenica e nei giorni seguenti, ci sono state manifestazioni di protesta in numerose piazze italiane (Roma, Napoli, Torino, Catania) in cui le legittime preoccupazioni delle categorie sociali più colpite dalle restrizioni sono state esasperate e pilotate verso un ribellismo diffuso nei confronti delle misure sanitarie.

Quando si lanciano parole d’ordine con le quali si invoca la libertà contro la dittatura sanitaria, in fondo si strumentalizza la sofferenza sociale (il lutto) dei ceti più colpiti dalle restrizioni offrendo una soluzione impossibile e per questo eversiva. Fatte le dovute proporzioni, nel nostro paese si è già verificata una situazione simile in cui la politica ha cavalcato una grave malessere collettivo realizzando una sorta di elaborazione paranoica del lutto. E’ successo nel 1919 quando, di fronte alle sofferenze inenarrabili che la guerra aveva inferto nella carne viva del popolo italiano (700.000 morti ed un milione di feriti), fu creato il mito della vittoria mutilata, del tradimento del popolo italiano escluso dal banchetto della vittoria. Ma quale banchetto avrebbe potuto portare ristoro nelle famiglie italiane che erano state private di ciò che esse avevano di più prezioso: i propri figli?

Tuttavia la fortuna di questo mito, assieme ad una giusta dose di manganellature, fu la chiave di volta che permise l’avvento dal fascismo. E’ questo un buon motivo per smontare il mito della dittatura sanitaria prima che sia troppo tardi.

Autore: Domenico Gallo

Nato ad Avellino l'1/1/1952, nel giugno del 1974 ha conseguito la laurea in Giurisprudenza all'Università di Napoli. Entrato in magistratura nel 1977, ha prestato servizio presso la Pretura di Milano, il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, la Pretura di Pescia e quella di Pistoia. Eletto Senatore nel 1994, ha svolto le funzioni di Segretario della Commissione Difesa nell'arco della XII legislatura, interessandosi anche di affari esteri, in particolare, del conflitto nella ex Jugoslavia. Al termine della legislatura, nel 1996 è rientrato in magistratura, assumendo le funzioni di magistrato civile presso il Tribunale di Roma. Dal 2007 al dicembre 2021 è stato in servizio presso la Corte di Cassazione con funzioni di Consigliere e poi di Presidente di Sezione. E’ stato attivo nel Comitato per il No alla riforma costituzionale Boschi/Renzi. Collabora con quotidiani e riviste ed è autore o coautore di alcuni libri, fra i quali Millenovecentonovantacinque – Cronache da Palazzo Madama ed oltre (Edizioni Associate, 1999), Salviamo la Costituzione (Chimienti, 2006), La dittatura della maggioranza (Chimienti, 2008), Da Sudditi a cittadini – il percorso della democrazia (Edizioni Gruppo Abele, 2013), 26 Madonne nere (Edizioni Delta Tre, 2019), il Mondo che verrà (edizioni Delta Tre, 2022)

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