La giustizia sia al servizio della pace, non della guerra

L’incriminazione di Putin è un passo falso compiuto dal Procuratore della CPI perché mette la legittima esigenza di repressione dei crimini di guerra in contraddizione con l’esigenza di porre fine alla guerra (e quindi ai crimini che della guerra sono un sottoprodotto).

Fiat Justitia et pereat mundus (si faccia Giustizia e perisca il mondo) oppure Fiat Justitia ne pereat mundus (si faccia Giustizia affinchè non perisca il mondo), è questo il dilemma di fronte al quale ci pone la notizia che la Corte penale Internazionale, su richiesta del Procuratore Karim Khan, ha spiccato un mandato di cattura contro il presidente russo Vladimir Putin per un presunto crimine, consistente nella deportazione di numerosi bambini dai territori occupati dell’Ucraina. Non v’è dubbio che la feroce guerra in corso farà lavorare per anni la Corte penale internazionale per prendere conoscenza della valanga di oltraggi all’umanità che sono stati commessi dai belligeranti e che verranno commessi ancora fino a quando non si porrà fine al conflitto. Non dimentichiamo che “la guerra è un assassinio di massa”, così come l’ha definita crudamente Hans Kelsen nella prefazione al suo libro Peace Through Law (1944). La guerra è la madre di tutti i delitti, crea l’ambiente umano nel quale si possono sviluppare tutte le peggiori perversioni generate dalla paura, dall’odio e dalla “disumanizzazione” del nemico. E’ vero che gli atti più atroci sono vietati dal diritto bellico, che li bolla come crimini di guerra e crimini contro l’umanità, però quella del diritto è una barriera molto fragile. Ci è stato insegnato che se il diritto internazionale è il punto di evanescenza del diritto pubblico, il diritto bellico è il punto di evanescenza del diritto internazionale (Antonio Cassese). L’istituzione della Corte penale Internazionale, frutto del Trattato di Roma del 1998, mirava a rafforzare il fragile diritto umanitario, assicurando la garanzia di una giurisdizione universale a sua tutela. Proprio per questo, hanno rifiutato la giurisdizione della Corte quegli Stati che sono più adusi a commettere crimini internazionali e/o che non accettano limitazioni alla propria sovranità (USA, Israele, Iran, Turchia, Russia e Cina).

Pochi giorni fa è stato reso noto il rapporto di una Commissione Internazionale Indipendente sull’Ucraina, redatto da un gruppo di esperti nominati dall’ONU, che fa emergere una serie impressionante di crimini di guerra, che includono uccisioni volontarie, attacchi a civili, reclusione illegale, torture, stupri, trasferimenti forzati e deportazione di bambini. Si tratta di fatti atroci, non dissimili (esclusa la deportazione di bambini) da quelli compiuti dalle forze armate americane durante la seconda guerra del Golfo, come documentati, almeno in parte, da Julian Assange, che per questo “crimine di verità” rischia di essere sepolto vivo in un carcere americano. Tuttavia all’epoca nessuno pensò di incriminare George Bush, responsabile politico di quella tragedia, né di inviare armi al paese aggredito per consentirgli di difendersi dall’aggressore. L’esperienza della guerra in Jugoslavia ci ha fatto toccare con mano come la giustizia internazionale possa essere strumentalizzata ai fini della guerra, per delegittimare ed indebolire l’avversario. Così la NATO, dopo aver impedito alla Corte penale internazionale per l’ex Jugoslavia di indagare sui crimini commessi dalle sue forze militari durante la campagna di bombardamenti contro la Jugoslavia del 1999, si è arrogata la funzione di polizia giudiziaria della Corte, pretendendo la consegna di Milosevic. In definitiva, grazie anche all’attitudine filoatlantica del suo Procuratore (la svizzera Carla del Ponte) la Corte per l’ex Jugoslavia finì per diventare un organo gregario della NATO.

Orbene, l’incriminazione di Putin è un passo falso compiuto dal Procuratore della CPI perché mette la legittima esigenza di repressione dei crimini di guerra in contraddizione con l’esigenza di porre fine alla guerra (e quindi ai crimini che della guerra sono un sottoprodotto). Quali che siano le responsabilità di Putin, questo non giustifica l’emissione di un mandato d’arresto contro un capo di Stato in carica. Nell’esercizio della sua discrezionalità il Procuratore della CPI deve essere coerente con i fini delle Nazioni Unite, che consistono essenzialmente nel mantenimento e nel ristabilimento della pace, tanto più che nello Statuto della Corte penale internazionale non vige il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale. Non si può pretendere di fare giustizia a costo della pace.   Incriminando Putin, mentre la guerra è in corso, si tagliano i ponti rispetto alla possibilità di un negoziato e si impedisce alla Russia di tornare sui suoi passi.

Non vi è chi non veda come il mandato di arresto spiccato contro Putin sia un formidabile atout nelle mani della Santa Alleanza occidentale per delegittimare l’avversario e rafforzare la versione del conflitto come una sorta di guerra santa contro il male, secondo la vulgata di Zelensky. Una guerra che dovrà proseguire fino alla “vittoria”, cioè alla sconfitta della Federazione Russa e all’arresto dei suoi capi.

In questo modo è stato compiuto un altro passo nel girone infernale della guerra e le lancette dell’orologio atomico si sono avvicinate ancora di più alla mezzanotte.

Noi continuiamo a pensare che la giustizia non deve avvicinare la fine del mondo, al contrario, auspichiamo che si faccia giustizia per evitare che il mondo perisca.

(articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano del 21 marzo 2023 con il titolo: Quel mandato d’arresto per Putin blocca la pace)

Autore: Domenico Gallo

Nato ad Avellino l'1/1/1952, nel giugno del 1974 ha conseguito la laurea in Giurisprudenza all'Università di Napoli. Entrato in magistratura nel 1977, ha prestato servizio presso la Pretura di Milano, il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, la Pretura di Pescia e quella di Pistoia. Eletto Senatore nel 1994, ha svolto le funzioni di Segretario della Commissione Difesa nell'arco della XII legislatura, interessandosi anche di affari esteri, in particolare, del conflitto nella ex Jugoslavia. Al termine della legislatura, nel 1996 è rientrato in magistratura, assumendo le funzioni di magistrato civile presso il Tribunale di Roma. Dal 2007 al dicembre 2021 è stato in servizio presso la Corte di Cassazione con funzioni di Consigliere e poi di Presidente di Sezione. E’ stato attivo nel Comitato per il No alla riforma costituzionale Boschi/Renzi. Collabora con quotidiani e riviste ed è autore o coautore di alcuni libri, fra i quali Millenovecentonovantacinque – Cronache da Palazzo Madama ed oltre (Edizioni Associate, 1999), Salviamo la Costituzione (Chimienti, 2006), La dittatura della maggioranza (Chimienti, 2008), Da Sudditi a cittadini – il percorso della democrazia (Edizioni Gruppo Abele, 2013), 26 Madonne nere (Edizioni Delta Tre, 2019), il Mondo che verrà (edizioni Delta Tre, 2022)

13 pensieri riguardo “La giustizia sia al servizio della pace, non della guerra”

  1. Caro Domenico, questo atto della Corte della Corte dell’Aia, è un atto di gravità inaudita. Una follia e come tu, scrivi, giustamente, accelera la possibilità dell’esplosione totale. Viviamo in un mondo che non riconosciamo più. Follia ! Pura follia ! Ahinoi…

  2. Solo dal tuo articolo si evince la mossa assurda della Corte dell ‘Aia. Ancora guerra, guerra assurda che minaccia e miete morti inutili. La cecità bieca di chi continua a inneggiare alle armi e ad una guerra che distrugge. La rabbia impotente di chi non la vuole e intorno a noi una situazione tragica, arrogante, menefreghista, che follia riuscire a vivere in questo mondo malato e violento.

  3. Gentile Dottor Gallo, nel leggere il suo commento mi sono posta alcune domande: 1) la CPI è un organo giudiziario internazionale previsto da un trattato al quale hanno aderito 123 Stati oppure uno strumento politico nelle mani di alcuni Paesi? 2) la richiesta del mandato di arresto mi risulta sia stata valutata da alcuni giudici della CPI che hanno avallato la richiesta sulla base di prove prodotte dall’Ufficio del Procuratore; anche questi giudici sono strumenti politici? 3) mi pare che nell’articolo si confondano situazioni molto diverse: si parla dei crimini commessi dai militari americani in Iraq e ci si chiede come mai non sia stato indagato Bush. Nel caso dell’Iraq la CPI non ha alcuna competenza dal momento che né l’Iraq né gli USA sono parte dello Statuto di Roma, mentre l’Ucraina – pur non essendo parte dello Statuto – ha accettato la competenza della CPI a partire dal 2014. È sulla base di questa dichiarazione che il Procuratore della CPI è intervenuto, con l’appoggio di più di 40 Stati parte dello Statuto. 4) Lei ricorda che gli Stati “più adusi a commettere crimini internazionali e/o che non accettano limitazioni alla loro sovranità” hanno rifiutato di aderire allo Statuto di Roma. Non credo che questo sia un motivo di merito per quegli Stati o di esclusione della punibilità di coloro che, pur non essendo cittadini di Stati parte, si rendano responsabili di crimini commessi in Stati dove sono perseguibili. 5) Lo Statuto di Roma esclude l’immunità anche per i Capi di Stato e di governo (art. 27); perché lei dice che Putin non è perseguibile? 6) E poi, perché mettere sullo stesso piano la CPI, che è figlia di un trattato internazionale e ha iniziato ad operare nel 2002 e il Tribunale per l’ex-Iugoslavia, creato nel 1993 con una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU? Vorrei poi ricordarle che quando Milosevic fu consegnato dall’esercito serbo al Tribunale per l’ex-Iugoslavia la signora Del Ponte non era più Procuratrice del Tribunale; 7) Immagino che quando lei parla di “presunto crimine, consistente nella deportazione di numerosi bambini dai territori occupati dell’Ucraina” intenda riferirsi al fatto che occorre provare in giudizio che il crimine sia avvenuto. Peccato che i Russi si siano autoaccusati di quel crimine dicendo di avere rapito i bambini per sottrarli al conflitto.

    1. Gentile Elena Rossi Arnaud,
      le rispondo solo ora perchè non avevo visto il suo messaggio. La ringrazio per il suo commento ed apprezzo che lei abbia posto delle questioni puntuali. In tutti gli interventi pubblici che ho fatto, ho sempre ritenuto un fatto positivo l’istituzione della Corte penale internazionale ed ho deprecato le minacce rivolte all’attività della Corte da leader politici arroganti come Netanyhau e Trump. Se ho fatto riferimento ai crimini commessi da militari americani a seguito dell’aggressione all’Irak nel 2003, non è stato per lamentare un mancato intervento della CPI, che non aveva competenza, ma per contestare la vulgata che esiste un imperialismo buono (quello USA/NATO) ed uno cattivo (quello russo). La guerra ed i crimini di guerra vanno condannati da chiunque commessi. Non ho messo sullo stesso piano la CPI ed il Tribunale per la ex Jugoslavia, ho indicato il Tribunale per la ex Jugoslavia come un precedente la cui attività ha dato luogo a molte critiche di non imparzialità, agevolate dalla condotta del suo procuratore Carla del Ponte. Costei il 2 giugno del 2000, intervenendo al Consiglio di Sicurezza ha dichiarato che il suo ufficio non intendeva procedere in ordine alle numerose denunzie presentate contro la NATO per i crimini commessi dall’Alleanza durante il conflitto ed ha aggiunto di “essere molto soddisfatta”. La risposta più efficace alla sue domande, credo che si possa trovare nell’intervento odierno sul Manifesto del Presidente della fondazione Basso, Franco Ippolito, che ha osservato: “quale può essere il ruolo della giustizia penale in questo conflitto? Quale concreto effetto avrà il mandato di arresto sulla guerra di aggressione russa all’Ucraina? Il rischio rilevante è che questo astratto esercizio di potere giurisdizionale aumenti l’indisponibilità di Putin verso qualsiasi negoziato (.)
      Fonti russe hanno già avvertito che nessun negoziato potrà mai avviarsi senza la revoca del mandato di arresto. Condizione evidentemente improponibile: l’azione penale, dopo il concreto avvio con l’incriminazione e l’ordine di arresto di Putin, non è negoziabile se non al prezzo della totale perdita di credibilità della Cpi. Va infatti ricordato che la Corte processa individui e non Stati e quindi l’accertamento dei fatti e la responsabilità degli accusati non può mai costituire oggetto di negoziato politico.(.) La verità è che non possiamo e non dobbiamo illuderci che la guerra possa essere fermata dalla Corte penale. Appaiono esercizio di vuota retorica le dichiarazioni del presidente statunitense Biden sulla necessità di processare Putin «criminale di guerra». Più credibili sarebbero quelle parole se accompagnate dalla ratifica del trattato istitutivo della Cpi da parte degli stessi Usa che, oltre a non avere ratificato quel trattato, non hanno perso occasione per ostacolare l’attività dei giudici dell’Aia. (.) IL DIRITTO PENALE sanziona i crimini già commessi, riaffermando il valore delle regole di convivenza internazionale. Ma oggi è urgente porre fine alle immani sofferenze sopportate dal popolo ucraino e dai giovani militari russi mandati al macello da Putin.”
      Aggiungo che poichè nella CPI non esiste il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, l’esercizio del potere discrezionale non può essere avulso dai fini e principi della Nazioni Unite, al primo posto dei quali c’è la ricerca ed il mantenimento della pace. Non si può ricorrere alla giustizia per sbarrare la strada alla ricerca della pace. E’ questa la mia obiezione di fondo al mandato d’arresto per Putin

      1. Concordo pienamente che guerre e crimini vadano condannati da chiunque commessi, ma affermare che la CPI adotterebbe due pesi e due misure mi pare fuori luogo visto che lei stesso riconosce che non aveva competenza nello spiccare lo stesso mandato verso Bush. Inoltre se il tribunale dell’ex iugoslava ha commesso errori c’è da augurarsi che la cpi li eviti. Sembra che sia difficile che il “potere giurisdizionale aumenti l’indisponibilità di Putin verso qualsiasi negoziato” visto che ha fatto dire da Medvedev che gli atti della cpi sono carta igienica. Nessuno si illude “che la guerra possa essere fermata dalla Corte penale”. Non voglio difendere Biden, e auspico che gli Stati Uniti aderiscano allo Statuto di Roma, ma questo non c’entra nulla con l’aggressione della Russia e la repressione dei crimini internazionali, da chiunque commessi in Ucraina.

        La ringrazio comunque per la risposta. Mi sembra di capire che a suo avviso e al contrario di quello che pensava Antonio Cassese, la ricerca pur affannosa della giustizia debba cedere il passo a una finta pace.

        1. Sull’ultimo punto ha ragione, non la penso come la pensava Antonio Cassese, all’epoca presidente del Tribunale internazionale per la ex Jugoslavia che, in un’intervista all’Unità del 26 luglio 1995 con riferimento al mandato di cattura spiccato contro Karadzic, dichiarava: “mi sembra difficile per un ministro degli affari esteri di un paese occidentale sedersi al tavolo negoziale e firmare un trattato con una persona già incriminata per azioni contro l’umanità e genocidio. Qualcuno mi chiedeva giorni fa se l’incriminazione di Karadzic non poteva essere un ostacolo ad un accordo di pace. Si, mi chiedo, ma a quale pace? Che senso ha un trattato di pace che non rispetti i diritti dei popoli che, raggiunto con Karadzic, significherebbe operare un colpo di spugna su crimini orribili?”
          Se trasliamo questo ragionamento all’Ucraina, nessun ministro degli esteri di un paese occidentale potrebbe sedersi con Putin ad un tavolo negoziale. E allora con chi si negozia la pace? Dobbiamo aspettare che la guerra si esaurisca perchè non ci sono più giovani ucraini o russi da mandare al macello? O dobbiamo alzare il livello dello scontro e marciare su Mosca per debellare il suo regime come si fece con Hitler? Con la differenza che Hitler non possedeva 6.000 testate nucleari. Ne bastano 5o per porre fine alla civiltà umana sulla terra. Fiat justitia et pereat mundus?

  4. Mi dispiace che lei non sia d’accordo con Antonio Cassese. Nel mio piccolo, invece, lo sono, soprattutto nella parte in cui Cassese dice “ma a quale pace?”. Putin e il suo entourage non hanno capito che il mondo è cambiato, e che nessuno oggi può tollerare (se non i complici) che si aggredisca un altro Stato, in particolare quando si tratta di uno Stato limitrofo e tu sei membro permanente del Consiglio di sicurezza; che possedere l’arma nucleare è fonte di maggiori responsabilità e non può mai essere strumento di ricatto; che non è ammissibile deportare popolazioni, nemmeno in nome di un malinteso paternalismo; che anche il diritto di guerra ha le sue regole che tutti devono rispettare, e quindi stuprare è proibito sempre né si possono usare stupro e gravidanza forzata come strumento di guerra. Ecco, se la “pace” alla quale allude lei è quella che condona questi crimini allora sono ancora più d’accordo con Cassese.

    1. La pace a cui alludo è quella condizione in cui non tuona il cannone e gli uomini non si uccidono fra di loro

  5. Mi sembra che la interlocutrice Elena rossi …non consideri affatto i precedenti di questa aggressione il che non significa giustificare ma, in ipotesi di negoziato (che sembrava concreto nei primi giorni del conflitto, rimando a Scemi di guerra …) considerare l’evento aggressivo come punto a sfavore dell’ aggressore

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